Due eventi a Firenze su specialità che l’immaginario collettivo relega in un contesto spesso stereotipato contribuiscono a dissipare un po’ dell’alone cartolinesco. Con la stampa chiamata a fare la propria parte.

Dopo aver partecipato ieri a Firenze, come presidente di Aset, al convegno organizzato dalla Regione sulla bistecca alla fiorentina ed aver organizzato l’altroieri, sempre come Aset e sempre a Firenze, il secondo step del nostro censimento sulla schiacciata toscana (qui), mi sono venuti un po’ di dubbi.
Gli stessi, ma più grossi, che anni fa avevano suscitato in me l’idea di fare proprio il censimento della schiacciata. E cioè: tanto la schiacciata quanto la bistecca sono specialità fortemente identitarie (la prima arcinota in Toscana e meno fuori, la seconda nota in tutto il mondo), ma occupano nell’immaginario collettivo una posizione assai stereotipata. Diciamo pure conformista, o molto scontata. Specchio di una toscanità cartolinesca della quale ci si accontenta spesso sotto forma di appagamento estetico anzichè organolettico.
In altre parole, il consumatore medio che viene nella nostra regione la maggior parte delle volte per essere soddisfatto si accontenta di trovare una bottiglia di rosso con su scritto “Chianti”, una bistecca bella alta servita da un oste coreografico in un ambiente pittoresco e una focaccia di dubbia origine, ma basta che sia salata, non come il pane locale.
Ovviamente l’esperienza – degli scorsi giorni e non – dimostra che la realtà profonda è del tutto diversa.
Martedì scorso a “La Leggenda dei Frati“, il ristorante fiorentino di Filippo Saporito (che ringrazio per l’ospitalità, ovviamente gratuita, sulla spettacolarissima terrazza di Villa Bardini), dieci chef toscani di grido si sono prodotti in una rassegna di “schiacciate d’autore” stupefacente per varietà di gusto, formato, ingredienti, tecniche di preparazione anche di occasioni di consumo. Tanto da dare fiato a un secondo filone, quello “ristorativo”, del censimento che come Aset stiamo conducendo con Vetrina Toscana e Accademia della Crusca sulla diffusione, le tipologie e il modo di chiamare questo popolarissimo cibo da strada (finora individuati 5 macrotipi, circa 180 tipi e 617 nomi diversi!)
Ieri invece, all’auditorium del consiglio regionale, durante il convegno “Identità e buona pratica della Fiorentina “la bistecca è stata entomologizzata sotto il profilo culturale, nutrizionale, gastronomico, economico, artistico e perfino musicale: anche in questo caso, le differenze di modi, gusti, virtù e qualità che sono emerse in dipendenza della razza, della brace, della cottura, dell’area geografica sono risultate illuminanti per farci capire quanto c’è ancora da fare affinchè l’arcinota “ciccia” alla brace esca, al pari della schiacciata, dalle paludi massificanti dell’oleografia cartolinesca e passi di livello, ricollocandosi tra le eccellenze dotate di una propria autonomia.
Si tratta di cambi di orbita ai quali il ruolo dell’informazione e della stampa non sono certamente estranei. Una stampa magari meno compiaciuta e compiacente, più critica a volte, perfino più cattiva con i casi che lo meritano.
Ma alla quale però non può essere negato il diritto/dovere, peraltro deontologicamente inaggirabile, di fungere da cinghia di trasmissione tra i tecnici o specialisti della materia e la gente comune, il tanto spesso evocato consumatore. Il quale è a volte disinformato al pari di quanto gli specialisti sono abili nel nascondersi dietro i tecnicismi per dissimulare le magagne del prodotto percepibili forse analiticamente, ma di certo non organoletticamente. In bocca, insomma.
Tra le cose impopolari che  abbiamo detto in pubblico c’era anche questa.