Quarantatre anni fa moriva il primo dei Beatles, ma da noi la notizia arrivò il giorno dopo. Il fatto sconvolse noi e i nostri palinsesti. Eppure di quella notte passata alla radio ho ricordi confusi.

 

9 dicembre 1980, mi pare fosse mattina. Chiamo Ernesto De Pascale per qualcosa che stavamo architettando a Radio Luna e lui mi dice: “E’ morto John Lennon“. Io gli faccio: “Cosa? Come?“. E lui: “Gli hanno sparato“.

In effetti Mark David Chapman aveva ucciso Lennon la notte prima davanti al condomino Dakota di New York.

La notizia aveva fatto ovviamente il giro del mondo, che all’epoca però non era una cosa rapidissima: la circolazione delle informazioni era molto più lenta di oggi. Quella capillare avveniva per lo più a voce, col passaparola. I Tg del mattino non esistevano. C’era la radio, ma non tutti ascoltavano i notiziari mattutini e non sono affatto certo che all’alba del 9 dicembre i dispacci su John fossero già sui banchi delle redazioni. Il Corriere della Sera, per dire, mise sì il fatto in prima pagina, ma quella del 10 dicembre, come credo praticamenti tutti i nostri quotidiani coll’eccezione di quelli del pomeriggio (sì, allora esistevano) e di quelli stranieri, che però da noi arrivavano il giorno dopo.

Insomma fu un fulmine a ciel sereno.

Non ho mai chiesto a Ernesto come di preciso fosse venuto a conoscenza praticamente subito della morte di Lennon. Probabilmente grazie ai suoi contatti newyorkesi.

La seconda mia domanda fu: “E ora che si fa?“. Mi riferivo alle questioni radiofoniche, naturalmente.

Vivevo del resto sentimenti contrastanti. La morte di un artista e di un personaggio di quel calibro, di quella notorietà, di quell’importanza e anche di quel valore simbolico, e in quel modo poi, ucciso da un fan, era un evento oggettivamente sconvolgente, soprattutto per chi, come noi, allora viveva a tutto tondo nel mondo della musica e anzi dentro di esso. Ma non amavo John Lennon. Pur riconoscendone le qualità e il ruolo, non l’avevo mai amato. Nè come uomo, nè come artista. E quindi non riuscivo ad essere davvero addolorato nel profondo. Provavo solo un lucido dispiacere e la consapevolezza che, nel nostro ambiente, si trattava di un evento epocale.

Il 9 dicembre era un martedì e il mio turno a Radio Luna Firenze (“Nightout“, dalle 21 alle 23) era il martedì e il giovedì, quindi quella sera sarebbe toccato a me “ospitare” la notizia e costruire in qualche modo la trasmissione attorno ad essa. Ma il DePa non ebbe dubbi: “Trasmettiamo la musica di John Lennon tutta la notte, no stop“. L’idea avrebbe stravolto il palinsesto, ma le circostanze lo giustificavano. Lui non fu nemmeno sfiorato dal dubbio che potesse esserci negato e io presi atto della sua determinazione.

E qui, incredibile, i ricordi si confondono.

Di me in quell’edizione di Nightout non rammento nulla, possibile? Rammento invece alcuni squarci di voce di Ernesto. Solo la sua, però, e non quella di Stefano Loria, il suo compagno di viaggio nella trasmissione gemella della mia, “FM“, in onda lunedì, mercoledì e venerdì. Poi mi sovviene una lunga serie di canzoni, gente che si muove nello studio, i dischi sul piatto col mezzo giro all’indietro. Ma nessuna copertina, nessun frammento di conversazione e neanche telefonate (se ne ricevevano a decine ogni notte, spesso surreali). Forse l’effetto del mio scarso trasporto verso l’ex Beatle, una sorta di amnesia selettiva? Può darsi, ma non è nella mia indole.

Sono passati 43 anni (no comment) e le mie idee su Lennon non sono molto cambiate. La cosa strabiliante è che invece su certe cose vacilli la mia memoria. Brutto segno.