A Verona rispettare gli appuntamenti è impossibile, quindi faccio una lista di tutte le cose papabili e poi mi affido al caso tra incontri estemporanei, ritardi, improvvisazione e imprevisti. Eppure anche quest’anno mi è andata bene.

 

Come noto, rispettare gli appuntamenti al Vinitaly non solo è pressochè impossibile ma, proprio per questo, prenderne è a dir poco imprudente. Dunque da anni mi regolo come segue: compilo un’attenta lista di inviti, luoghi, eventi, cose da fare e poi mi faccio trasportare dal caso, ossia dall’incontrollabile flusso di ritardi, incontri e convenevoli estemporanei, fughe anticipate da consessi che non rispettano le attese o gli orari previsti.

Ciò che segue è il frutto di tale prassi, ossia il meglio di ciò che le circostanze quest’anno mi hanno permesso di assaggiare con il minimo di agio e l’approfondimento necessari per dare un giudizio ragionevolmente soppesato. Grazie dunque anche a tutti quelli che mi hanno concesso un po’ del loro tempo e mi scusino se, per mancanza di elementi di valutazione, ho preferito non citarli. Questione di serietà (mia, non certamente loro).

  • La degustazione più divertente – e pure rilassante – è stata certamente quella guidata da Riccardo Viscardi allo stand del Consorzio Asti Docg: un abbinamento tra cinque annate di Asti Spumante metodo classico e ostriche. Risultato sorprendente e coinvolgente, a cui dedicheremo presto un pezzo ad hoc, ma che intanto voglio segnalare.
  • Sempre in tema di bollicine, interessante anche il tasting di uno spumante sudafricano e di quattro cremant francesi organizzata dal colosso Les Grandes Chais de France (180 cantine controllate nel mondo). Di tutti, ci è piaciuto di più il Cremant del Jura della Maison du Vigneron Brut Nature: Pinot nero e Chardonnay, quattro anni sui lieviti, bolla fine e riflessi verdognoli, un bel naso citrico, fiori appassiti, accenno di mandorla e pasticceria secca, bocca asciutta ma pastosa, ricca, appagante.
  • Pure stavolta l’effervescente Maremma ha proposto calici curiosi. Tra i tanti ne segnalo due. Il primo è Unnè 2019, Vermentino Maremma Toscana Doc di Poggio Levante (zona Cinigiano), un esperimento voluto dal titolare, il padovano Alberto Facco, e dal suo enologo e corregionale Guido Busatto: solo acciaio, biologico, tappo a vite, un naso intenso di pietra focaia che si avvicina assai al Sauvignon e un palato sapidissimo. Il secondo è Silio 2022, Ciliegiolo Maremma Toscana Doc, fatto a Manciano ma a un tiro di schioppo dal confine laziale, con un frutto marcatissimo e fresco, appena smussato da un po’ di legno, bocca elegante, rotonda, direi suadente.
  • Il padiglione internazionale non è che offrisse granchè, ma pure qui qualcosa ho trovato. Ad esempio ho potuto riassaggiare un po’ di vini dello stato di Rio Grande do Sul, quello vinicolo per antonomasia del grande paese sudamericano. Ho trovato le conferme che mi aspettavo: non molta personalità e stili molto globali. Non male tuttavia il Via 1986 della cantina Viapiana, un 100% Pinot nero composto, varietale, senza inflessioni caricaturali e che non fa niente per nascondere le sue origini esotiche.
  • Ci è piaciuto anche il Cirò 2022 di Santa Venere: Gaglioppo 100%, biologico, da vigne del 1970. Di un bel colore rubino pieno, al naso sposa equilibrio, profondità e una piacevole nota di petali di rosa che lo rende riconoscibile. In bocca è fresco e diretto, nonostante il corpo e una bella intensità.
  • Sulle prime mi aveva convinto meno, poi andando avanti con la cena mi è piaciuto molto di più il Disiato 2023 Sicilia doc prodotto dalle parti di Butera da cantine Navarra: un Frappato 100% da vigne giovani, fatto in acciaio, che si riscatta dalla nevrilità e dall’annata caldissima grazie a una gastronomicità che ne smussa la tensione, ne allenta gli spigoli ed esalta il profumo intenso di frutti selvatici.
  • Decisamente più tecnici e prospettici gli assaggi fatti allo stand della Doc Sicilia per testare le microvinificazioni di vitigni rari fatte nel Centro Sperimentale di Marsala nell’ambito del progetto DI.Vi.Si. per la preselezione clonale delle varietà siciliane. Provati un rosato di Lucignola, rossi di Vitrarolo, Nocera e Nero d’Avola e due Grillo e Catarratto provenienti da aree diverse dell’isola. Quelli che mi hanno intrigato maggiormentee sono stati il promettente Vitrarolo (dalla zona di Milazzo, speziato, acuto e strano), le note di mela del Catarratto di Sclafani e la sapidità del Grillo di Vittoria. Esperienza stuzzicante.
  • Sono restato in Sicilia,versante etneo però, per una degustazione altrettanto stuzzicante di quattro rossi e quattro bianchi Etna Doc selezionati in base al contenitore usato per vinificarli e affinarli: acciaio, cemento, anfora e legno. A guidare l’assaggio il MW Andrea Lonardi. Tra i miei migliori il Feudo di Mezzo 2020 di Cottanera (Nerello Mascalese fatto in botti di rovere da 20 hl: elegante, maturo, complesso con note di arancia amara, asciutto e verticale in bocca, molto “contemporaneo“, come l’ha definito Lonardi), il Rampante 2014 Cantine Russo (Nerello mascalese 80% e Nerello cappuccio, acciaio e poi tonneaux: bouquet importante di rosa appassita, cangiante e screziato, con un ritorno oronasale spiccato e un sorso insolito) e il Contrada Rinazzo 2021 di Benanti (Catarratto 100% coltivato in quota e vinificato in acciaio: elegante, profondo e preciso al naso, in bocca spicca per acidità e una mineralità granulosa che lo rende originale).
  • Gran finale con l’abbinamento tra il Valdobbiadene Docg Millesimato dry Coste di Mezzodì di Col Vetoraz e l’amuse-bouche di Paolo Speranzon della Locanda San Martino (Pieve d’Alpago, BL) a base di tartare di rape rosse, panna acida e caviale di storione bianco della trevigiana Caviar Giaveri. Alla prova dei fatti l’accoppiata ha convinto per l’armonia di sensazioni tattili e gustative che sa offrire e per il gioco di equilibri che, anzichè annullare, esalta per contrasto tutte le componenti, ben tenute insieme dalla cremosa morbidezza del vino. Solo per decenza ci siamo astenuti dal chiedere il bis.