Come si diceva una volta: riceviamo e pubblichiamo. Si parla di giornalisti autonomi, del nuovo Inpgi (ex 2), di pensioni da fame (176 euro al mese) e di un sistema da riformare.

 

2.112 euro lordi l’anno, 176 euro al mese.

Nessun refuso, avete letto bene: è la pensione media che percepiscono dal loro Istituto di previdenza «Inpgi 2» i giornalisti non dipendenti, cioè collaboratori o freelance privi di un contratto giornalistico, che oggi sono circa i 2/3 dei giornalisti attivi. Nel 2020, come certifica il bilancio consuntivo dell’ente, su circa 1.300 pensionati “autonomi” la metà ha percepito un importo addirittura inferiore a mille euro l’anno. Sta nascendo una nuova classe di indigenti.

Col passaggio in Inps della cassa dei giornalisti subordinati «Inpgi 1» (in default) previsto a luglio 2022, in base al disegno di legge di Bilancio (in discussione in Parlamento) dovrà essere modificato lo Statuto dell’ente che diventerà Istituto di previdenza dei soli giornalisti non dipendenti. Un’occasione unica per adeguarlo ai reali interessi degli iscritti. Ecco perché questo passaggio cruciale non può essere gestito esclusivamente dalla dirigenza uscente dell’attuale INPGI, composta in maggioranza da giornalisti dipendenti che poco o nulla conoscono delle complesse dinamiche del lavoro autonomo e delle sue esigenze. È, invece, indispensabile il coinvolgimento diretto e massiccio dei giornalisti autonomi, i quali hanno diritto ad avere voce in capitolo sulle regole da stabilire per la futura gestione dell’ente previdenziale, quindi delle loro pensioni future.

In questa direzione lavorerà GAP – «Giornalisti Autonomi Previdenti per un nuovo Inpgi», aggregazione spontanea di colleghi che nasce per sensibilizzare le istituzioni, chiamare a raccolta la categoria per dare una svolta alla politica sindacal-pensionistica degli attuali amministratori e perseguire la riforma globale del sistema al fine di garantire ai giornalisti non dipendenti una pensione dignitosa, il cui presupposto è anche una retribuzione davvero professionale ed equa. Ad oggi non è così: quasi sempre i giornalisti che lavorano come collaboratori o freelance sono sottopagati e senza diritti (malattia, ferie, tredicesima, Tfr ecc.) non essendo inquadrati nel contratto collettivo nazionale di categoria.

Nel 2020 oltre 20 mila giornalisti libero-professionisti hanno percepito, in media, un reddito di circa 15 mila euro lordi; quasi 7 mila giornalisti con contratto di Collaborazione coordinata e continuativa (Co.co.co.) hanno guadagnato addirittura meno di 9 mila euro lordi l’anno, cioè 750 euro lordi al mese, pur lavorando come e a volte più dei loro colleghi dipendenti.

Secondo GAP, poi, contrariamente a quanto sostiene l’attuale dirigenza, ci sono legittimi dubbi sulla solidità della cassa degli autonomi nel medio e lungo periodo, visto che ad oggi è davvero esiguo il numero di pensioni erogate (1.350 a fronte di 27 mila contribuenti attivi nel 2020 e 44 mila iscritti) e che già l’ultimo bilancio mostra per la prima volta l’impatto della crisi con la riduzione, rispetto al 2019, sia delle entrate previdenziali (- 7%) sia dell’avanzo della gestione previdenziale (-13,4%), a causa soprattutto della frenata dei contratti Cococo e del calo dei redditi per tutte le tipologie di lavoratori autonomi.

Inoltre, a giudizio di GAP, il «nuovo» Inpgi dovrà avere una struttura “snella” ed efficiente piuttosto che, come ora, una pletora di dirigenti, non di rado più interessati a lauti compensi che a trovare soluzioni per migliorare il futuro previdenziale dei giornalisti autonomi.

Per informazioni: gapinpgi2@gmail.com

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