Per il 2022 è inutile fare l’elenco dei buoni propositi: più saggio fare quello delle ferite aperte, sperando che siano rimarginabili. Non c’è molto da ridere, ma proviamoci lo stesso.

 

L’anno nuovo si profila onusto di impegni per i giornalisti. Soprattutto per coloro i quali non hanno il didietro al caldo di una scrivania. Ma poichè anche per gli altri le seggiole potrebbero traballare, nessuno può stare tanto tranquillo fino in fondo.

Proviamo a fare un elenco delle cose da fare.

O meglio, delle necessità stringenti. Con l’aggravante però (o con la deprimente) che per molte c’è soltanto da strepitare, in quanto la traduzione in fatti non dipende da noi giornalisti, ma da altri. I quali di norma se ne fregano o, sul più bello, si tirano indietro.

Eccolo.

LA RIFORMA DELLA PROFESSIONE. Appunto: se ne parla da quarant’anni, fioccano disegni e proposte, ma poi cadono i governi e tutto slitta. E’ un gioco dell’oca. Solo che, a forza di farle ingoiare bocconi amari, all’oca s’ingrossa il fegato e noi, al massimo, diventiamo buoni per il foie gras.

LA RIFONDAZIONE DEL SINDACATO. Oddio, rifondazione: bisognerebbe prendere l’escavatore, spianare le fondamenta del quasi nulla che è rimasto, cospargere il suolo di sale acciocchè nulla più possa germinarvi e costruirne un altro ex novo. Meglio se da un’altra parte. E senza rimetterci quelli di prima, si capisce.

LA RICOSTITUZIONE DELL’INPGI. Devoluto nell’Inps l’Inpgi1, la LdB prevede che entro luglio gli amministratori in carica (poco capaci, come i fatti dimostrano, e perdipiù in gran parte contrattualizzati, quindi ignari della materia de quo) riscrivano lo statuto dell’Inpgi2, l’ente degli autonomi. Di coinvolgere nella delicata elaborazione i diretti interessati, o almeno di consultarli, per ora non se ne parla: i capataz ci ritengono da sempre una banda di minus habentes bisognosi di tutela. Ma è solo questione di tempo: bomba a orologeria.

LA REINVENZIONE DELLA PREVIDENZA DEGLI AUTONOMI. Sarebbe l’appendice del punto precedente e una necessità fondamentale. Nessuno però si pone il problema, men che meno la politica o il legislatore. Quando verrà il momento, dovranno però dare la pensione minima a decine di migliaia di nuovi poveri. E pure incazzati.

L’EQUO COMPENSO. Come diceva Lando Buzzanca nei panni dello snob: “Mi vien che ridere!“. Quella dell’equo compenso è stata una farsa diretta con tale protervia e approssimazione da essere divenuta una medicina inutile perchè, nelle more dell’annosa ammuina, il paziente è morto. Congrats!

LA LOTTA ALL’ABUSIVISMO PROFESSIONALE. Grazie alla sinecura generale, si è ormai coronato il sogno egualitarista del “todos caballeros“, altrimenti declinato come “giornalista è chi giornalista fa“. Nel palleggio delle responsabilità e delle chiamate fuori, in una ormai totale confusione di ruoli tra informatori, comunicatori, influencer e blogger, la categoria s’indigna perchè in tv un mariuolo tocca il culo a una collega. Peccato che la tizia giornalista non fosse, ma giornalista facesse. Il che non giustifica il gesto, ma rende tutto surreale.

L’ABOLIZIONE DELL’ORDINE. Se un cospicuo numero di giornalisti desidera la liquidazione dell’ente che li rappresenta, un motivo ci sarà e, se comandassi, qualche domanda sul perchè me la farei. Eppure, con l’aria che tira, anche questa rischia di divenire una nulla quaestio: non c’è nessuna fretta perchè, come il Titanic, l’OdG sta autoabolendosi mediante una lenta trasformazione in un ordine di dilettanti di fatto. In altri termini: ha senso tutelare ancora un’attività che, anzichè per lavoro, oggi in maggioranza si esercita per hobby?

TODOS MARCHETTAROS. E’ solo in parte una conseguenza del “todos caballeros” di cui sopra. In verità, l’appannamento della differenza tra informazione e pubblicità (oggi imperante al punto che, anzichè far sobbalzare, è spesso ritenuto “normale” pure dai colleghi), è frutto di dinamiche complesse: cronica mancanza di controllo, assenza di formazione professionale, dilettantizzazione della professione, applicazione sistematica dell’italico buonismo, fanfaluche tipo l”autoimprenditoria giornalistica”, legittimazione delle doppie mansioni e dei conflitti di interesse. Nel fenomeno dei comunicatori che sui giornali si travestono da critici e recensiscono i propri clienti c’è tutta la grottesca sintesi del nostro mestiere.

NON MI CHIEDERMI. In fondo al nostro burrone, ma proprio in fondo, c’è poi poi l’ecatombe di ciò che dovrebbe essere il pilastro della professione: la lingua italiana. Ormai però è troppo chiedere: se basta un “se” per far scattare il congiuntivo degli analfabeti di ritorno, l’unica cosa che si può fare è citare le Wooden Chicks di Paola Cortellesi: “Non mi chiedermi di coniugarti i verbi, non li so: se li avrei saputi, mo’ te l’imparavo“.

Buon anno!