Esprimersi non è sempre necessario. Spesso è meglio tacere, per non alimentare ovvietà, superfluità e tautologie. In ciò consiste il mio attuale quasi silenzio digitale.

 

Negli ultimi tempi molti dei miei pochi ma fedeli (appunto) lettori mi rimproverano, a ragione, di aver fortemente ridotto gli scritti su Alta Fedeltà. E me ne chiedono conto.

Ne hanno tutto il diritto. Così come io rivendico quello – considerata la natura totalmente no profit di questa blogzine – di dare spiegazioni se, quando e come voglio.

Adesso, ad esempio, voglio.

Ma le spiegazioni sono semplici, addirittura banali.

La prima, più banale di tutte, è la mancanza di tempo: scrivere, anche per chi come me ha una certa facilità nel farlo, è un’attività faticosa, che richiede applicazione. A maggior ragione se la si pratica col metodo giornalistico, ossia cion scrupolo verso verifiche, veridicità, terzietà.

La seconda, già più complessa, è la mancanza di argomenti. Il che, almeno nel mio caso, in realtà non significa una mancanza tout court, ma la inquietante sensazione di inutilità di qualsiasi argomentare. Sintomo brutto, ne convengo. Ma al quale al momento non trovo rimedio, considerato il generale andazzo delle cose di cui, più spesso e con più passione, mi occupo.

La terza, che si aggancia direttamente alla seconda, è un più profondo e diffuso sentimento di mancanza di senso. Ossia la carenza di una ragione profonda per la quale sarebbe opportuno mi dilungassi su questioni che non solo sono divenute palesi, ergo niente affatto bisognose di spiegazioni o ulteriori approfondimenti, ma prive di soluzione, di prospettive.

AF nasce, è arcinoto, come un qualcosa – vedi sopra – di giornalistico. In cui cioè l’approccio a qualunque tema è tale: dev’essere utile a chi legge, non a chi scrive.

Se però il metodo in parola, la professione stessa, il senso per l’appunto del giornalismo medesimo vanno in una crisi irreversibile, per quale ragione si dovrebbe accanirsi terapeuticamente?

Meglio allora, molto meglio, lasciare spazio, come sempre più di frequente sto facendo, a colleghi che di cose da dire, raccontare, spiegare ne hanno. Io mi accontento di fare il padrone di casa, l’ospite, il gran ciambellano. Che, per carità, tutto controlla e verifica affinchè risulti sempre coerente al modello.

Non escludo, sia chiaro, di tornare a interventi più frequenti.

Ma detesto la sovraesposizione, soprattutto quando è fine a se stessa.

Soprattutto detesto la tautologia.

E i rischi che correrei sono proprio quelli.

Quindi mi astengo.

Tutto qui. Nulla di occulto, vi assicuro.