di FEDERICO FORMIGNANI
Il proverbiale rapporto di odio e amore tra Francia e Italia affiora anche dalle copiose tracce linguistiche e di costume che la prima ha disseminato nel nostro paese. Parola (anche) di Agnelli, Rivera e Napoleone.

 

Uno dei cognomi più diffusi del Veneto è Montresor. Si tratta di un’eredità “amorosa” delle truppe napoleoniche. A ogni campagna militare con relativa battaglia promossa dal generale, seguiva un periodo di pace durante il quale – truppa straniera e gentil sesso locale – avevano modo di sviluppare una serie di “incontri ravvicinati”. Logico che in simili circostanze le fiduciose ragazze chiedessero il nome dell’innamorato; la risposta era un sussurro: mon trésor… (tesoro mio…). Sparito il bene, ripreso il cammino per altre terre e altre guerre, al pupo rimaneva, se non altro, un cognome nuovo di zecca.

Ma l’eredità francese è ben altra cosa, naturalmente.

C’è chi afferma che la “erre” moscia di Gianni Agnelli fosse una diretta conseguenza di remoti fonemi celtici. Anche i mandrogni (abitanti di Alessandria; uno per tutti: Gianni Rivera) arrotano in maniera strana la stessa consonante, al pari dei parmigiani: pare, comunque, con meno stile dei torinesi, in prima linea – coi loro madam e madamin – nel rivendicare legami preferenziali con la Francia. Un altro grande personaggio, Alessandro Manzoni, pensava in due lingue che gli erano familiari in eguale misura: la francese e l’italiana, con l’aggiunta di un sofisticato impiego del dialetto milanese. Manzoni frequentava, per motivi essenzialmente culturali, i salotti nobili di Milano, nei quali la “zeta” aveva rimpiazzato la più plebea “esse”; parole quali devozión, fonzión (pronunciate: devuziún, funziún) stabilivano il confine fra ceti diversi e riflettevano indubbie influenze transalpine.

Anche il provenzale ha avuto una grande stagione in Sicilia, in concomitanza con le prime espressioni poetiche del volgare nostrano. Presenti gli Angioni in meridione, assistiamo alla diffusione del viaggio (quelli dei pellegrini erano frequenti) con la nascita dei relativi nomi d’accoglienza: “oste, ostello”. Il sistema feudale presenta sulla scena nuovi personaggi di corte: “sire, conte, marchese, cavaliere” e così via. Chi attraversa la penisola, non di rado da conquistatore, fa garrire al vento “bandiere, stendardi e gonfaloni”. I luoghi di difesa, d’abitazione, oltre ad acquisire caratteristiche architettoniche particolari, vengono indicati con nuovi appellativi: “maniero, magione”, ricchi entrambi di “logge e giardini”.

E arriva in Italia anche la grande stagione del gotico, con le cattedrali e quella degli insediamenti religiosi. Da Clairvaux ecco le molte Chiaravalle; da Moirmont, ecco Morimondo. I monaci cistercensi e cluniacensi portano, con la parola di Dio, un enorme contributo alla cultura e alla vita di riflessione e preghiera anche nelle nostre terre. Chi va in Francia, fra il Trecento e il Quattrocento, assorbe e importa francesismi a gogò: “derniera lettera, ciamberiera”. I legami politici e familiari si fanno più intensi. Renata di Francia, figlia di Luigi XII, sposa nel 1528 Ercole II d’Este e mette piede nella corte ferrarese.

I Medici e i Borromeo, grazie all’importanza delle loro “mercature”, aprono uffici a Parigi e nelle Fiandre; le lettere di credito, il trasferimento di valori, i corrieri politici e finanziari intensificano i loro viavai; scrive il Cecchi, anno di grazia 1551: “…come dice il Fransoi? Argièns fa il tòtt“.

 Il Settecento gioca un ruolo importante per lo scambio culturale fra i due Paesi. Ricorda Franco Piva, in un suo volume del 1973: “…dal 1750 al 1790 arrivarono a Venezia, attraverso le dogane e con regolare permesso, circa 60.000 libri, con una media quindi di 1.500 libri all’anno. Di questi, 10.000 almeno erano opere scritte in francese”. L’età napoleonica (1796-1814) segna forse l’apogeo dell’influenza francese in Italia. L’orma lasciata da Napoleone in campo sociale si è rivelata profonda: sul piano giuridico il Codice (poi chiamato Napoleonico) realizza una felice combinazione del diritto antico con il nuovo: viene rafforzato l’istituto della famiglia e della proprietà, viene proclamata l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Con le strade del Sempione, del Moncenisio, del Col di Tenda, si aprono nuove vie di comunicazione e a Milano un innovativo piano urbanistico, costituito in gran parte sui progetti Haussmann di Parigi, si sviluppa lungo l’asse Via Dante, Castello Sforzesco, Parco Sempione, Arco della Pace, Corso Sempione. Da ultimo, la cucina. Già nel 1790 riscuote i consensi del romano Francesco Leonardi, che scrive: “…io, benché italiano, ho fatto il mio noviziato nelle cucine francesi. Fra tutte, è quella dove regna più il gusto, l’arbitrio, l’immaginazione”. Una voce fuori dal coro pro-Francia, è quella del grande Stendhal, con l’epigrafe dettata per la sua tomba: “Arrigo Beyle, milanese”.

Con buona pace di Chauvin!