Tra poco si apre a Milano la Borsa Internazionale del Turismo e nel mondo dei viaggi (in verità non solo) la mediocrità dilaga. In ogni settore: stampa, rete, marketing, pubblicità. Ma riconoscere la qualità, che spesso costa quanto la mediocrità, è così difficile?

 

La promozione serve a promuovere, il marketing serve allo stesso scopo: ovvero a creare le premesse e le aspettative per vendere un prodotto.
A tali attività sono di solito demandati appositi uffici o studi di consulenti, ai quali il committente chiede ovviamente, nella specifica materia, una professionalità che si presume egli sappia riconoscere. Questa normalmente consiste nella capacità di individuare e di mettere in pratica – nei limiti di un certo budget, di un certo arco temporale e di un certo target – idee e iniziative atte a portare a casa il risultato perseguito.
Il punto critico del meccanismo è appunto questo: il risultato.
Quando può dirsi raggiunto?
Sovente le risposte divergono: non sempre cliente e consulente la pensano alle stesso modo. In alternativa, ma senza che il risultato cambi, si può dire che spesso hanno un’idea diversa su ciò in cui il risultato debba consistere o debba trovare la sua soglia di soddisfacimento.
Con un’ulteriore variabile: che uno o ambedue i soggetti abbiano non solo un’idea diversa, ma sbagliata. Quando, cioè, da una delle due parti si hanno aspettative errate o, peggio, non si è in grado di giudicare la bontà dei risultati ottenuti o del lavoro svolto.
La premessa era necessaria per esporre un pensiero che – alla vigilia della Bit, la Borsa Internazionale del Turismo del 2-4 aprile prossimi – mi è venuto nelle scorse settimane mettendo insieme un po’ di cose a cui avevo fatto caso a proposito di promozione turistica (ma il discorso può valere per qualsiasi settore), qui riassunte a partire dall’ultima:

  • come si fa a non accorgersi che certe campagne producono effetti opposti a quelli desiderati?
  • come si fa, in subordine, a non accorgersi che non producono effetto alcuno o scarsissimo?
  • come si fa a non accorgersi che ciò dipende da errori grossolani?
  • come si fa a non accorgersi che tali errori sono frutto, nella grande parte, della pessima qualità di idee e progetti messi in campo?
  • come si fa a non accorgersi che il frutto di tali idee e progetti è a sua volta pessimo?
  • come si fa a non capire che, a parità di spesa e d’impegno, la differenza finale la fa la qualità?
  • come si fa, infine e soprattutto, a non riconoscere la qualità o, peggio, la mancanza di qualità sia di progetti che di risultati?

Facciamo un esempio: la pubblicità. Già qui commentai un caso abbastanza sconcertante, ma rimasto senza risposta. E’ incredibile che nessuno della filiera coinvolta si sia reso conto dell’autogol finale e/o non abbia avuto il fegato di replicare.
Facciamone un altro: i viaggi stampa. Che i risultati dipendano dalla bontà delle testate coinvolte e, massime, dalla bontà dei giornalisti da esse inviati, mi pare solare. Mi pare altrettanto solare che la bontà del risultato si valuta, in questi casi, dal letto sui giornali e non dalla quantità di prodotto venduto. Ma il messaggio fa fatica a passare presso gli operatori, che scambiano gli articoli sulla stampa per pubblicità a costo ridotto. Il discorso vale al decuplo per i viaggi stampa individuali.
Altro esempio, ancora più delicato: i blog e i cosiddetti blogtour, insomma gli inviti ai blogger. Gli operatori, giustamente, li prediligono: sono di bocca buona, entusiasti di tutto, costano poco, non si fanno pregare, non cercano il pelo nell’uovo, non fanno domande, restano ubbidienti in gruppo, scattano e postano un sacco di foto piene di commenti estasiati, fanno audience, clic, traffico, visualizzazioni. Tutto bene, tutto ok? Mica tanto. C’è anche blogger e blogger. Blogger che scrivono (nel senso di letterariamente, non di positivamente) bene e blogger che scrivono da cani, blogger che ti fanno venir voglia di visitare un certo posto e blogger che te la stroncano sul nascere, blogger che hanno una loro ispirazione e retroterra emotivo e blogger che sciorinano il loro compitino uguale identico a quello degli altri, mettendo in fila gli aggettivi d’ordinanza: stupendo, mozzafiato, suggestivo, buonissimo, fantastico, splendido. Il risultato è un’accozzaglia di banalità pietose e di luoghi comuni che, ripetuti serialmente, rendono la lettura insopportabile, il testo poco credibile e la destinazione pressochè odiosa.
Dunque, di nuovo: come è possibile che chi organizza, e quindi chi promuove e quindi spende per tutto questo, non se ne accorga?
Alla fine se ne desume che di marketing, promozione, comunicazione e informazione ne capisce di più la gente comune, la quale spesso rifiuta di ingoiare il boccone precotto, di chi scrive e di chi commissiona.