di URANO CUPISTI
Per ritemprarsi cosa c’è di meglio che accamparsi sulla spiaggia di Goa fumando la pipa e girando il paese su una Vespa made in India? E’ quello che il nostro fece nel 1986, all’alba dello yuppismo e al tramonto dell’hippismo

 

Nell’ottobre del 1986 mi ritrovai in una spiaggia selvaggia lungo la costa di Konkan, sul lato occidentale dell’India, quello bagnato dal Mar Arabico. Mi trovavo nel più piccolo stato federato del subcontinente indiano: ero a Goa.

Ero lì più o meno per caso.

Avevo bisogno di qualche giorno di riposo dopo un’estenuante avventura in Nepal (di cui parleremo poi).

Ma perchè proprio a Goa e non in qualche resort paradisiaco delle Maldive o di Ceylon?

Fu una scelta quasi obbligata: avevo acquistato un volo a basso costo dell’Air Condor, una compagnia charter tedesca del gruppo Lufthansa, tutt’ora in esercizio come compagnia low cost, per la tratta Monaco di Baviera – Kathmandu, con scalo intermedio proprio a Goa. Fu così che al ritorno approfittai di un possibile stop and go di due settimane.

Non scelsi un hotel ma una sistemazione spartana sulla spiaggia, allora selvaggia, di Anjuna. È lì che conobbi Naraian, un indiano del Kerala alla ricerca di una vita semplice, un ritorno alla natura. Mangiava pesce pescato con sistemi primitivi e cotto direttamente sull’arenile.

Oggi Goa non è più Goa”, diceva.Ora è India. Arrivano moltissimi giovani indiani dagli stati ricchi del centro-nord, in particolare da Bhopal e Hyderabad, che hanno fatto un sacco di soldi e vogliono soltanto spenderne il più possibile: oggi non ci sono più hippy, ma yuppie».

Allora avevo un passione per le pipe e me n’ero portata dietro una, la mia prima pipa, una Savinelli Hercules Matt 111 Ex.  La prima pipa è come il primo amore, non si scorda mai. Un piacere dell’antica arte del lento fumo. Alto vaso cilindrico con un capiente fornello in grado di contenere tabacco per una due ore di fumata. E il tabacco? Quello che andava di moda allora: l’aromatico Clan.

Fumavo il Clan durante le lunghe chiacchierate con Naraian, mentre lui fumava tutt’altro. E le ore passavano accompagnate dal canto del mare.

Noleggiai una LML (Lohia Machines Private Limited) Star 125, la Vespa indiana prodotta su brevetto Piaggio. La versione italiana della mitica PX con la quale “scorrazzai” in lungo e largo i dintorni di Anjuna spingendomi fino alla capitale Panaji e a Mormugao, un tempo nota come Vasco da Gama, la città più popolosa dello Stato. Ma soprattutto furono i mercatini colorati e vocianti a piacermi: lì il dialetto con cadenza portoghese faceva da sottofondo alle grida dei venditori. Hashish, hashish, hashish, liberamente in vendita e “miele” per gli ultimi hippy.

C’era un mix di culture indiane e portoghesi, con diverse religioni, ma la cattolica era molto praticata. Quella miscela di sole, mare e sabbia rendeva Goa molto diversa dal resto dell’India. L’impronta della dominazione portoghese era presente in ogni angolo del piccolo stato. Quattrocentocinquant’anni di dominio si facevano sentire e vedere: l’ultimo lusitano lasciò Goa nel 1961.

Le cose belle erano tante: lo Sweet Water Lagoon vicino alla spiaggia di Kalacha, il Forte Chapora, ammirato al tramonto con le sue linee accarezzate da una luce indimenticabile, i Ghati occidentali, una catena montuosa  incontaminata, i templi del Bhagwan Mahaveer Sanctuary  dedicati a Brahma e l’architettura del Tempio Shanta Durga.

Tutte scoperte a cavalcioni della mia Star 125, si capisce.

Alternavo le escursioni con momenti di ritiro spirituale sulla spiaggia di Anjuna, dove le acque disegnavano trasparenze di cristallo sulla sabbia finissima tra l’andirivieni delle creste di spuma, mentre il vento del Mar Arabico, ricco di salsedine, mi schiaffeggiava.

Il giorno dopo ero di nuovo a liberare la fantasia cercando nuove mete come la chiesa cinquecentesca di Nostra Signora dell’Immacolata Concezione, secolare punto di riferimento spirituale per tutti i cattolici di Goa.

Nell’interno, a circa 60 Km da Panaji, al confine con lo Stato del Karnataka, scoprii le cascate Dudhsagar formate dal fiume Mandovi,  una delle attrazioni imperdibili del paese: quattro livelli, con acque bianche che scendono dai 300 metri di una parete di montagna quasi a strapiombo.

Infine Goa Velha, la città vecchia, l’antica capitale portoghese prima di Panaji, con quelle viuzze piene di spezie e ricche di fascino coloniale. Goa Dourada, la Goa d’Oro per via dei suoi palazzi, i mercati, le chiese.

Qui, quasi tutti i maggiori edifici religiosi sono inseriti nel patrimonio dell’UNESCO. Io visitai la Basilica del Bom Jesus, maggiore luogo di culto e meta di pellegrinaggio visto che al suo interno sono custoditi i resti di San Francesco Saverio.

Goa era ancora un luogo della nostalgia, popolata da una eclettica comunità di indiani, europei, asiatici dell’estremo Oriente. Ci si andava non per visitare quello che rappresentava, ma per quello che è stata. La città di tutte le libertà, dove la seduzione tentava di trattenerti. E lì potevi essere chi volevi.