VIAGGI&PERSONAGGI, di Federico Formignani.
Viaggio a volo d’uccello nell’odierna Kolkara e già Kolikat, ex capitale indiana ed ex sede della Compagnia delle Indie.

 

L’ex capitale dell’Impero delle Indie è davvero una metropoli affascinante.

Qui tutto è esagerato: il numero spropositato di chi ci vive, i traffici caotici e continui, le molteplici e frenetiche attività, la cultura della vita, più sentita e praticata che altrove. Non si direbbe, mettendo piede a Calcutta e costeggiando l’imponente fiume Hooghly (il grande ramo del Gange che attraversa Calcutta) che queste basse terre dello stato del Bengala Occidentale arrivino, nel loro confine settentrionale, a lambire addirittura il Sikkim, tra i monti himalayani. Zone quest’ultime di vacanza e di respiro per gli abitanti (benestanti) della grande metropoli, che qui arrivano per evitare l’enorme cappa di calura e di smog che quasi costantemente incombe sul Bengala meridionale. Né potrebbe essere diversamente, considerata l’incredibile quantità di acque che vena l’intero stato. Da ovest il Gange, il fiume dei fiumi, da est il Brahmaputra che convoglia le acque del lontano Tibet. Avvicinandosi alla costa, attraverso una miriade di villaggi agricoli e improvvise caotiche conurbazioni, il paesaggio è caratterizzato da numerosi stagni, bracci morti di fiumi, piccoli estuari ramificati e paludi nelle quali le mangrovie crescono rigogliose; acque che portano vita e che, stagnando in certe zone, trasmettono anche calore. Poi, in un crescendo di case, palazzi, vie e quartieri dalla vita congestionata, è Calcutta.

Calcutta è una città relativamente giovane, mi dice Subhankar Sengupta, Tourist Guide & Escort, approved by Govt. of India, come recita il suo candido biglietto da visita, stampato in blu; per comodità, aggiunge, chiamami Subho, come fanno tutti. Subho racconta come si è sviluppata, nel tempo, la sua città. Il villaggio originale dal profetico nome di Kalikata (facile associarlo all’odierno nome di Kolkata) viene acquistato nel 1690 dai nababbi del Bengala dal mercante inglese Job Charnock, naturalmente per conto della potente Compagnia delle Indie. Il piccolo borgo viene trasformato in un emporio con tanto di porto sull’Hooghly. La merce qui raccolta e da qui trasportata, in diretta concorrenza con gli altri scali delle varie potenze europee (portoghesi, danesi, francesi, olandesi) comprende, fra l’altro, seta, cotone, juta, indaco, oppio, avorio. Al 1696 risale l’edificazione di Fort William per scopi difensivi; nel 1701 l’area del forte, soggetta a frequenti attacchi sia di tribù locali sia degli europei presenti nel delta del Gange, incorpora alcuni villaggi contigui. La crescita in importanza di Calcutta avviene nell’anno 1772, quando la città diviene capitale dei possedimenti britannici e conta circa  centomila abitanti, ciò che suggerisce alle autorità di costruire un quartiere europeo, ben separato dalla zona indigena, anch’essa soggetta ad ulteriori divisioni a seconda delle varie caste esistenti.  Nel 1858 Calcutta diventa capitale dell’Impero delle Indie e da questo momento si assiste a una continua crescita del numero di residenti – in quell’anno calcolati attorno al mezzo milione – che si accompagna a una progressiva industrializzazione della zona e alla parallela crescita delle attività commerciali. Crescita che continua per tutto il Novecento, anche se due avvenimenti finiscono per penalizzare le aspettative della oramai grande città. Nel 1911 la capitale viene trasferita a Delhi e nel 1947, con la spartizione del Bengala fra India e Bangladesh, si verifica la perdita di enormi piantagioni di juta e il concomitante arrivo di grandi masse di individui di fede indù dallo stesso Bangladesh musulmano e dalle aree nord del Bengala non più indiane.

Trattandosi di un nucleo urbano concepito dagli inglesi, ovvio che abbia avuto sin dall’inizio un’impronta conseguente, continua Subho, sia per la dislocazione degli edifici e dei palazzi, sia per gli stili adottati: vittoriano, neoclassico, palladiano e novecento. Gli edifici più significativi vengono edificati nell’area centrale del Maidan, enorme polmone verde della città. Dopo Fort William, baluardo difensivo eretto in onore di Guglielmo III re d’Inghilterra, ecco la pagoda birmana degli Eden Gardens e l’Assembly Hall, sede del Parlamento dello stato e il palazzo dell’India Radio.

Nella parte nord c’è l’edificio del Raj Bhavan di stile classico, eretto tra il 1798 e il 1805, un tempo residenza dei Viceré inglesi e oggi del governatore del Bengala occidentale. Di particolare impatto visivo è poi il palazzo Victoria Memorial Hall, interamente in marmo bianco, inaugurato nel 1921 dal principe di Galles; conserva cimeli dell’epoca coloniale: incisioni, dipinti, miniature.

Adesso, annuncia trionfante Subho, entriamo nelle meraviglie del Chowringhee, che è il nome locale dell’arteria Jawarahial Nehru Road che costeggia il grande parco Maidan. Sei una guida fantastica, Subho, gli dico bloccando il suo inglese veloce e cantilenante, ma è venuto il momento per il mio acquisto di pashmina, ricordi? Il regalo che debbo fare a mia moglie. No problem… ti porto nella più famosa boutique di Calcutta, è qui a due passi: tra il Grand Hortel Oberoi e l’Indian Museum. L’acquisto della pashmina color cremisi è lungo ed elaborato, ma alla fine Subho ride soddisfatto al commesso ossequioso, come se fosse lui l’acquirente. È l’ora di pranzo e mentre mangiamo qualcosa ho il tempo di riesaminare con cura il mio impegnativo e inusuale acquisto.

Ripartiamo dal Victoria Memorial dirimpetto al quale risalta la cattedrale di San Paolo, edificata in stile indo-gotico fra il 1838 e il 1847, quindi l’Accademia di Belle Arti. Nelle vicinanze è poi ben visibile la cupola del Birla Planetarium, uno dei maggiori del mondo. Proseguendo per la Nehru Road, si incontra l’Indian Museum, sicuramente uno dei più grandiosi d’Asia; eretto nel 1875 in stile rinascimentale fiorentino, si sviluppa su tre piani e contiene pregevoli opere artistiche: sculture greco-buddiste di epoca gandhara, bronzi del Tamil Nadu, reperti preistorici, iscrizioni e oggetti islamici, quindi collezioni di storia naturale e tessuti del sud India, del Gujarat e di altri stati indiani, per finire con dipinti tibetani, miniature ed altro ancora. Qui è anche l’area nottambula di Calcutta (Park Street), ridacchia Subho, aggiungendo che qui nessuno dorme, notte e giorno; abitudine oramai comune alle zone simili di ogni città del mondo. La camminata di Calcutta prosegue sino a Lindsay Street, dove ha sede il New Market, meglio conosciuto dai locali come Hogg’s Market. Come in quasi tutte le città asiatiche, il market abbonda di tutto, animali vivi e strani compresi. La città “inglese” accoglie qualche altro monumento di notevole interesse: la High Court, palazzo di giustizia neogotico edificato nel 1872, la St. John’s Church, la più antica chiesa della città, per finire con il Writer’s Building, un massiccio edificio neoclassico costruito nel 1880, già sede della Compagnia delle Indie, che oggi ospita ministeri e uffici governativi. La visita termina poco a sud dell’originale cittadella voluta dai britannici, al numero 54-A della Lower Circular Road. Qui, dal lontano 1953, ha sede la casa madre delle Missionarie della Carità, fondata da Madre Teresa. Nelle vicinanze della sede e dappertutto camminando per Calcutta, è facile incontrare giovani religiose vestite di un semplice sari bianco a strisce azzurre. Sono le continuatrici, in India e nel mondo, della inarrivabile intuizione di fede e carità della piccola suora albanese.