Ogni giorno, nel laboratorio del rimorchio-patacca facebookiano, si aprono nuovi orizzonti.
In declino (sebbene mai rapido come si vorrebbe) la tecnica delle pettorute, sedicenti studentesse della Sorbona in inequivocabili pose pornocontorsionistiche, ormai metabolizzata anche dai più arrapati, s’affaccia ora quella dell’aggancio a tempo, che cerca invece di sfruttare la mancanza di concentrazione cui, fatalmente, il mezzo telematico induce con il suo costante bombardamento di “stimoli” (ognuno intenda il termine come meglio crede).
Il metodo è il seguente.
La lei del caso ti posta una richiesta di amicizia, di solito vantando copiose conoscenze comuni, probabilmente ottenute col metodo con il quale adesso la stessa cerca di agganciare te, e, soprattutto, ostentando l’appartenenza a “gruppi” fb di cui fai parte, di norma attentamente individuati tra quelli che frequenti davvero, il che fa abbassare la tua soglia d’attenzione.
Seconda astuzia: la foto. Quelle in stile trombami-subito sono ovviamente copiose, ma negli album, mentre in hp ce ne sono di carine, anche molto carine, ma mai troppo ammiccanti.
Terza ed ultima: se non accetti entro pochi minuti, la simpaticona revoca la richiesta e, se non sei stato svelto a memorizzare il suo nome, poi ritrovarla per capire chi era diventa difficile.
Ce n’è una che mi si è affacciata in bacheca tre o quattro volte.
Voglio vedere quanto insiste.
Anche perchè, probabilmente, nella realtà si chiama Gunther.
Occhio alla penna. Anzi, alla pinna.