…li spenderei davvero per abitare fuori sede e fare la fame cercando un lavoro che non c’è? Non sarebbe più saggio stare a casa coi soldi che oggi i miei mi passano per sopravvivere altrove? Riflessioni agrodolci a margine di una telefonata estiva.

Cinque del pomeriggio, squilla il telefono. E’ una collega. Pochi minuti di chiacchiere professionali e poi il discorso scivola come sempre sui destini poco progressivi e poco luminosi della categoria. Solite cose: lavoro che non c’è, compensi ridicoli, editori che non pagano.
A un certo punto lei fa: “Alla fine, a quarant’anni, se non avessi i mille euro al mese che mi passano i miei, qui a Milano non riuscirei a sopravvivere con il mio lavoro”.
Le chiedo: “Ma allora chi te lo fa fare?”
Lei: “Almeno qui ho le redazioni a due passi, posso incontrare chi voglio, proporre articoli, frequentare. Da lontano sarebbe impossibile lavorare”.
Io: “Hai appena detto che lavori poco o nulla e che non riesci a campare“.
Lei: “Comunque ci provo, anche se le speranze sono sempre di meno”.
Allora non resisto più: “Sì – le dico – ma ti rendi conto del paradosso? Per cercare un lavoro introvabile e procurarti un reddito che non c’è, spendi un mensile dei tuoi genitori che, da solo, è praticamente uno stipendio. Con la stessa cifra in mano, stando a casa tua, vivresti gratis, senza spese e senza assilli di trovare lavori immaginari. Ora, invece, spendi il tuo reddito vero, cioè la ricca paghetta del babbo, per fingere di produrre un reddito virtuale“.
Alcuni secondi di silenzio pensoso dall’altro capo del filo. “In effetti hai ragione“, mi dice poi ridacchiando.
Desisto dal proseguire, perchè capisco che anche lei ne è perfettamente consapevole.
Della serie “eppure non l’ha ordinato il dottore“. Oppure “continuiamo così, facendoci del male“.