A dieci anni dall’evento che dette vita alla Carta di Firenze e all’emersione del giornalismo autonomo come fenomeno professionale, si vota (anche on line) per l’OdG. Un appello ai candidati a esprimersi su quei temi, che certo non hanno perso d’attualità. Anzi: ora o forse mai più.

 

Giusto giusto dieci anni fa, me n’ero dimenticato (della data, non certo dell’evento)!, si tennero a Firenze gli stati generali della libera professione giornalistica: “Giornalisti e giornalismi: libera stampa, liberi tutti“, questo lo slogan. Fu una riunione tanto accesa quanto eterogenea, a dimostrazione dell’interesse trasversale – geograficamente e tipologicamente – dell’argomento.

Ne nacque una “carta” deontologica, che prese poi il nome della città nella quale aveva visto la luce, tanto importante quanto poi, si capisce, disattesa. A riprova che l’obbiettivo era giusto: l’equo compenso, e di conseguenza la stabilità professionale a prescindere dal tipo di contratto, dei giornalisti autonomi, destinato a diventare una novella dello stento federal-governativa capace di trascinarsi insoluta tuttora, nella collettiva vergogna.

Infatti andò così: la marmaglia dei freelance asserragliati a valle nel teatro Odeon, alla presenza dell’allora presidente Odg, Enzo Iacopino, e i capataz sindacali nell’aristocratica a Fiesole, “casualmente” riuniti a mangiare brioches e a discutere di superiori quanto misteriose questioni nella cittadina che domina il capoluogo toscano. Appunto: noi sotto, loro sopra. Ma con un vindice occhio e ben puntato a spiare cosa facevano i mariuoli giù in basso.

Seguirono teatrini d’ima lega, che dettero vita, in ordine sparso, a pacifiche invasioni della ridotta sindacale nelle stanze romane, occultate da tremule tendine e da ancor più tremuli burocrati di carriera, contratti farsa, referendum traditi, retromarce e coprofigure che vi risparmio, ma che sono ben impresse nella memoria di chi c’era, quorum ego.

Vi chiederete perchè, nostalgia a parte, di questa mielosa e polemica rievocazione.

Il perchè è che tra qualche giorno si vota per il rinnovo delle cariche dell’OdG, in un momento che rappresenta il punto più basso raggiunto dalla classe giornalistica italiana. Basso al punto da mettere a repentaglio l’esistenza stessa della professione, erosa da un lato dal cieco livore dei militanti abolizionisti e dall’altro (in modo assai più grave) dall’autolesionismo dei vertici giornalistici medesimi, con in testa l’apparato federale con i suoi tentacoli correntizi.

Mai come adesso sarebbe necessario che i giornalisti, approfittando finalmente dell’opportunità di votare in piena libertà offerta dall’introduzione del voto elettronico, senza l’ossessione degli occhiuti kapò che presidiano i seggi e riferiscono ai commissari politici, si recassero in massa alle urne.

Per votare chi?

Direi quelli, ad esempio, che tra i candidati adesso spendessero qualche parola, progetto, idea su come indirizzare una professione della quale il 75% è rappresentato da autonomi. Autonomi in senso contrattuale, perchè in senso di indipendenti ce ne sono pochi, trovandosi praticamente tutti o quasi sotto scacco a causa di una redditività simbolica che lascia spiragli di vita solo agli hobbisti e costringe gli altri ad arrangiarsi in modo spesso poco confessabile.

Altri temi?

Una professione liberalizzata di fatto, visto che oggi non solo diventa giornalista chiunque, senza neppure sapere da dove si comincia, ma si può perfino farsi chiamare giornalisti scrivendolo sul campanello, sui biglietti da visita, cui manifesti quando si coordina un dibattito, su Linkedin e FB, ma senza esserlo.

Vogliamo poi dire qualcosa a proposito di quel 75% che ha l’obbligo (giusto) di essere iscritto all’ente di previdenza (l’apparentemente pingue Inpgi2, quello con le casse del quale si vorrebbero ripianare i buchi dell’Inpgi1, quello invece in bancarotta), ma che la pensione non la vedrà mai, non solo per i cronici magri guadagni, ma anche perchè il sistema è progettato solo per dare una parvenza di vitalizio a dei dilettanti che dilettanti non lo sono più da un pezzo?

Qualcosina sui due terzi di giornalisti italiani che si occupano (dentro e fuori le redazioni) della cosiddetta “stampa specializzata” e sono stati finora considerati come dei minus habentes, una massa irrilevante e un po’ ottusa, spesso indegna e strisciantemente prezzolata, la vogliamo sentire? O deve continuare a prevalere la settaria convinzione che scrivere una recensione sia un modo occulto per “fare reclame“?

Su, cari candidati, inondate le bacheche con programmi e proclami, fate sentire la vostra voce, prima che la base faccia sentire la sua (e potrebbe non essere melodiosa).