“Ieri ho organizzato un evento ma non ti ho invitato, ne parli?”. “Caro freelance, per quale testata ti accrediti?”. “Mi recensisci il libro se ti mando solo il riassunto?”. In certe topiche tragicomiche sta il declino della professionalità

Questo post prende spunto da una nota estemporanea sul mio profilo FB, ma poi il tema si è arricchito di nuove sfumature e allora tanto vale affrontarlo qui e adesso. La nota era questa:

CARO COLLEGA (E NON) DELL’UFFICIO STAMPA.
Tutti noi giornalisti siamo inondati dai comunicati stampa. Niente di male, è lavoro. Se non li ricevessimo sarebbe peggio. Ce n’è di tutti i tipi: utili, inutili, ridicoli, pessimi, seriali e, tranne i primi, gli altri finiscono nel cestino (per i ridicoli ho in verità una cartella apposita).
Ci sono però cose che fatico ancora a digerire:
1) l’uso di “comunicare” eventi fantastici, esclusivi, importantissimi e nel tuo stretto settore di interesse, ma già avvenuti e a cui, ovviamente non ti hanno invitato. Insomma a me che mi occupo di auto, ad esempio, fanno sapere che ieri nella mia città ci sono stati Elkann e Marchionne a disposizione dei giornalisti per interviste.
Sia chiaro: ognuno è libero di invitare chi vuole. Ma pregare qualcuno di occuparsi ex post di una cosa a cui non era invitato è, oltre che sciocco, autolesionistico.
2) quelli che ti invitano a qualcosa, ti mettono fretta per la risposta e, quando gli dici di sì, ti chiedono: “per quale testata si accredita“?
Ora, a parte che sapere chi sono e perchè mi inviti sarebbe proprio il tuo lavoro, ma se un invito è personale (visto che l’hai mandato a me), perchè mi dovrei accreditare per conto di qualcuno? Se vuoi la testata, come è comprensibile, invita quella e ci penseranno loro a mandare qualcuno. Vecchi retaggi…
3) quelli che presentano qualcosa a centinaia di km da casa tua, ti bombardano di chiamate per insistere che tu vada (ovviamente a tue spese) e che se gli dici che non puoi andare, ma che l’oggetto ti interessa e vorresti recensirlo, non te lo mandano e/o ti offrono di mandare “il comunicato stampa“.
La cosa grottesca è che nella metà dei casi chi si comporta così è qualcuno che ha smesso di stare da questa parte e che prima si lamentava proprio delle cose che adesso fa con disinvoltura.
Il vento (e il comunicato stampa) fa il suo giro

Chi frequenta questo blog sa che ho una spiccata simpatia e una forte solidarietà verso i colleghi che si occupano di uffici stampa. Attività difficile, ingenerosa, logorante, poco gratificante e spesso snobbata.
Il problema è che, con la crisi della professione e dell’editoria, quello dell’ufficio stampa è divenuto anche il residuale refugium peccatorum di chi: a) ha dovuto smettere di scrivere e ha cercato di ritagliarsi un nuovo lavoro nella comunicazione; b) ha cominciato da poco e vede nella prospettiva degli uffici stampa l’unica possibile fonte di reddito; c) è uscito da improbabili corsi universitari in cui a parole ti insegnano a fare comunicazione giornalistica e in realtà ti trasformano in uomo marketing o in venditore; d) siccome è spigliato si butta nelle cosiddette “pr”; e) vari ed eventuali.
Al loro cospetto e parziale scusante, la a volte smarrita, a volte ringhiosa, a volte pedante, a volte dilettantesca, a volte provocatoria massa uscita dalla catena di montaggio del “giornalistificio” prima e del “todos caballeros” poi: ovverosia una mole incontrollabile di onnivori giornalisti o sedicenti tali, in teoria affamati di tutto.
Dalla morsa escono per forza a pezzi, su ambo i fronti, i professionisti (nel senso di dotati di professionalità).
Le pretese talvolta assurde e a volte perfino autolesionistiche di committenti del tutto digiuni della materia, per non dire animati dal solo desiderio di darsi un tono dicendo che hanno un “ufficio stampa”, fa il resto.
In questo bizzarro, sotto molti aspetti inevitabile scambio osmotico, per ora in verità unidirezionale, di funzioni, si registrano anche, però, falle stupefacenti e imprevedibili.
Già, perchè spesso le peggiori topiche e approssimazioni vengono proprio da chi, cambiata sponda, prima si lamentava degli uffici stampa, li snobbava, li fustigava.
Con un’aggravante che dovrebbe dirla lunga sul trend più generale: nel settore la professionalità non è, nè è mai stata, una prerogativa dei giornalisti, cioè degli iscritti a un ordine la appartenenza al quale dovrebbe garantire in teoria – molto in teoria – la padronanza di un minimo know how. Anche in un settore così specifico la professionalità è infatti trasversale: c’è chi sa lavorare e chi no.
Insomma, pure in questo campo ci sarebbe da muoversi prima che tutto ci crolli addosso, seppellendoci.
O forse siamo già sepolti e non ce n’eravamo accorti.