Di grande formato (24×34), autoprodotto per essere più aderente al taglio trasversale voluto dall’autore, il volume ha il ritmo di un canto tribale e lo slancio di un amore incondizionato. L’intero ricavato della sua vendita andrà all’onlus bolognese CEFA (www.cefa.bo.it) per il finanziamento di un progetto di agricoltura sostenibile nel Sudan meridionale.

Nella dedica che Mauro Querci ha voluto lasciare sulla copia a me destinata del suo nuovo libro, “Certe Afriche – storie e geografie di un amore”, c’è scritto: “A Stefano, della compagnia degli ultimi Gulliver. Come me”. Un distico che lascia spazio alla nostalgia e al sottinteso, alla condivisione e alla complicità. E allude a quella categoria di viaggiatori per passione e per professione che, col tramonto dell’editoria di settore (un ambiente a lui ben noto, essendo stato Mauro direttore di Gulliver, uno degli ultimi “veri” mensili di viaggio italiani), pare condannata dalla contingenza alla stanzialità e, forse, all’estinzione.
Ma ciò che conta e che vale in questo bel volume di grande formato (256 pagine, acquistabile via internet a 25 euro scrivendo a mauro.querci@alice.it), non c’entrano nè il cameratismo professionale, nè il paradosso un po’ stucchevole de “l’esotico come mestiere“. E neppure la comunanza del sentire verso un continente, l’Africa, pur capace davvero, aldilà di ogni ogni retorica, di affascinare, rapire, ferire come nessuno.
C’entrano invece, soprattutto, l’omaggio e il beneficio.
Due cose che, per ciò che rappresentano, hanno un senso solo se fatte bene. E per nessuna delle due, infatti, Querci (giornalista e scrittore fiorentino quarantaseienne, oggi a “Flair”) si è risparmiato.
L’omaggio è appunto il grande volume, affidato alle mani di una grafica importante (Valeria Settembre, art director di “Elle Decor”) e al fil rouge teso da una sequenza incalzante e quasi ininterrotta di foto, spesso a doppia pagina, scattate dall’autore nel corso delle sue tante esplorazioni in “certe” Afriche. “Certe” non solo per la destinazione (Marocco, Algeria, Libia, Tanzania, Etiopia, Zambia, Repubblica Democratica del Congo, Namibia, Gabon, Mauritania e Senegal), ma per il taglio, il soggetto e l’occhio con il quale la realtà è stata osservata. Appunto perchè, come scrive Mauro, “certe Afriche incantano, altre spaventano, altre ancora fanno male”.
Senza, però, che tutto questo consenta di liquidare l’opera come il solito lavoro ben fotografato sul continente nero. Concepito come una sorta di libro-diario o di lungo film della memoria, dove immagini, suoni e pensieri si intersecano in un ordine dettato più dal subconscio che dalla mente, il lavoro offre risposte alle proprie domande nelle lunghe didascalie-reportage, inframmezzate a prose scandite a ritmo (un sub-omaggio al tribalismo?) di canto o di poesia, suggerendo così l’idea e la cadenza di un taccuino di viaggio extralarge, dove l’intimità e la tascabilità lasciano il posto all’espressività, sempre molto personale, di foto e testi. Da qui anche, spiega l’autore, la scelta di autoprodursi, per assecondare lo srotolarsi decisamente “fuori passo”, rispetto agli standard editoriali, del libro. Non è un caso, del resto, che tutto si concluda con la “litania d’Africa” che Querci inserisce a mo’ di titoli di coda cinematografici, quasi fosse al tempo stesso un’elegia e una preghiera.
Fin qui l’omaggio di cui si diceva.
Poi c’è, perseguito con dignità almeno pari, il beneficio.
L’intero ricavato del libro andrà infatti a finanziare un progetto di agricoltura sostenibile varato nel Sudan Meridionale dalla Onlus CEFA di Bologna (www.cefa.bo.it, 333/4625879).
Un’ottima ragione in più, va da sè, per procurarsene una copia.