LIBRI PER NATALE. “Coloniale” è un aggettivo scivoloso. In un agile saggio di Mario Coglitore, un’analisi del colonialismo attraverso “politica, letteratura e tecnologia in movimento tra 8 e 900”.
L’unico modo che ho per farmi scusare (il perdono essendo giustamente escluso) del ritardo con il quale recensisco questo interessante volumetto a distanza di un anno tondo da quando esso mi fu recapitato è innanzitutto sottolineare che in dodici mesi non ha perduto nulla della sua originaria pregnanza e singolarità.
Una pregnanza una e trina, si potrebbe dire. Perchè il saggio di Mario Coglitore “Viaggi coloniali: politica, letteratura e tecnologia in movimento tra Ottocento e Novecento” (Il poligrafo, 2020, 160 pagine, 24 euro) affronta il doppio, speculare tema del viaggio e del colonialismo a cavallo degli ultimi due secoli da tre differenti punti di osservazione.
Il primo è quello più strettamente politico e ideologico, attraverso la figura, al tempo stesso tragica ed eroica, di Roger Casement, un testimone diretto: dapprima funzionario del colonialisticissimo governo inglese e poi inflessibile attivista per la causa irlandese, al punto di venire giustiziato per attività antibritannica da quella stessa corona di cui era stato a lungo servitore, dal Perù al Congo.
Il secondo è quello letterario (secondo i punti di vista, il più inoffensivo o il più insidioso), che ebbe in Emilio Salgari un esponente di spicco e che contribuì in modo decisivo alla nascita di quanto si potrebbe definire l’immaginario coloniale nostrano, attraverso una miscela fatta di mistero esotico, spirito missionario, paternalismo e determinismo sociale.
Il terzo è quello tecnologico, fisicamente il più dirompente, ovvero del treno e della ferrovia. Osservati però, si capisce, non nella dimensione “epica” della narrazione occidentalistica, ma in quella più cruda di strumento principe di espansione, controllo, penetrazione, trasporto di uomini e mezzi. E quindi del vulnus inferto, attraverso la rotaia, a territori, culture e nazioni. Incluso il fabbisogno feroce e onnivoro di manodopera, spesso forzata, che essa generava.
Bisogna ammettere che nessuno dei tre saggi delude le attese.
Coglitore è attento, puntuale, documentato e, sebbene la sua disamina socio e geopolitica non sia immune da pregiudizi ideologici a volte espliciti, egli sa mantenersi lucido e coerente nelle analisi.
Il risultato è una lettura a tratti avvincente, adatta tanto allo studioso quanto al semplice appassionato di viaggi, piena di informazioni e ricca di spunti di riflessione, che resta sapientemente a cavallo tra storia e letteratura senza mai cadere nella freddezza dell’una e negli eccessi dell’altra.
Con una pecca: un’inclinazione al politicamente corretto che, soprattutto nella prefazione di Barbara Henry, tende più alla militanza che al metodo.