“Across the River” (come il pezzo di W. Nile che reinterpreta) è il nuovo cd di Carolyne Mas, tenero omaggio a se stessa e alla musica del cuore, con cover di Forbert, Drifters e del Boss, naturalmente. E lei domenica è a Clavesana con la band per il nostro Csrrf.

Gli artisti veri a volte si colgono attraverso le piccole cose, le sfumature.
Mesi fa, ad esempio, mi arrivò un’email con la solita newsletter di Carolyne Mas, grande e sfortunata (artisticamente e non solo) songwriter newyorkese che conobbe una folgorante ma effimera notorietà a cavallo tra il 1979 e il 1981, in una delle più formidabili stagioni musicali di Big Apple.
Era però una newsletter diversa dalle solite, con le quali Carolyne mette in vendita i memorabilia o lancia campagne a difesa degli animali.
In autunno uscirà il mio nuovo album dopo sette anni“, diceva in sostanza, “e in esso ho rivisitato col cuore alcune delle canzoni, mie e altrui, che più hanno contato nella mia vita. Siccome ognuna rappresenta un pezzo di me, per ogni brano ho scritto anche un diario dei ricordi e dei pensieri che mi legano ad esso. Divagazioni e impressioni, a ruota libera. Ma ho esagerato. Mi hanno detto che sono note troppo lunghe per stare nel booklet che sarà allegato al disco. E allora, “continuava il racconto, “siccome mi dispiaceva privarmene, ho pensato di metterli per esteso in questa newsletter, a beneficio di tutti i miei fan. In modo che almeno loro potessero scendere fino in fondo in profondità, con me, nel perchè della scelta delle canzoni”.
Rimasi molto colpito da quell’idea. La trovai di straordinaria generosità.
E ancor di più fui colpito dalla lettura. Racconti sul filo della memoria, pieni di notazioni, spigolature, riflessioni che affondavano nell’intimità artistica della musicista e di una vita che, attorno a lei, si era snodata nei giorni belli e in quelli meno belli di una carriera complicata, spesso dolorosa. Difficile rammentare, in un musicista, un’operazione di così delicata verità.
Quel disco si sarebbe intitolato “Across the River“. E’ uscito un paio di mesi fa per l’italiana Route 61, prodotto da un vecchio leone della springsteenianitudine come Ermanno Labianca. E ora si trova nelle mie mani.
Per lanciarlo, proprio in questi giorni, Carolyne Mas ha cominciato, accompagnata da Daniele Tenca and the Blues for the Working Class Band, un tour italiano (il 12 gennaio la porto io al Rock & the Wine di Clavesana, CN, per la sessione invernale del Crete Senesi Random No Profit Rock Restival: ci sono ancora posti liberi – e gratis, con cena inclusa! – tutte le info qui; per le altre date del tour guardate qui).
“Across the River” (dall’omonima canzone di Willie Nile di cui la Mas offre un’intensa cover, l’ennesimo cerchio che si chiude attorno a “quella” NYC) è un bel disco.
Forse non il tipo di disco che il nostalgico dei tempi di “Hold On” potrebbe aspettarsi, forse. Ma bello. Vero. E coerente alle premesse. Quelle di un’artista per la quale, come per tutti, il tempo è passato e in cui la musica è divenuta anche memoria. La voce si è approfondita, la sensibilità di interprete si è affinata.
Questo è insomma un album da sfogliare più che da ascoltare di un fiato. Esattamente come quelli delle fotografie, pagina dopo pagina e immagine dopo immagine, in attesa che le sensazioni e i flashback risalgono col lentezza alla mente. Un album composito, in cui la continuità è data più dal progetto antologico che dal mood e dalla sequenza delle canzoni.
Così, come annunciato, Carolyne rispolvera vecchi suoi inni (“Sitting in ther dark“), inediti e nuove songs (“In a box“, “Mexican Love Songs“), superclassici (la celeberrima “Under the Boardwalk” dei Drifters), piccole gemme di artisti e compagni di avventura (“Witch Blues” del grande, ma sempre sottovalutato Steve Forbert) e chiude con uno degli anthem per antonomasia della città e di quella generazione di songwriters che fu la sua, omaggio al grande padre che meglio di tutti seppe (e forse sa ancora) interpretare lo spirito di una certa temperie: “New York City Serenade” di Bruce Springsteen. Un atto di coraggio, oltre che di amore, da parte della cantautrice.
Lascio in ultimo la nota più importante. O meglio quella che più di tutto dà un senso al disco, tiene insieme ben salde le doghe di una botte piena di ottimo vino: alla fine dei giochi, quelle lunghe note “regalate” telematicamente ai fan nella primavera scorsa, nel booklet allegato al cd ci sono rientrate tutte.
E così, oltre a una gran musica, questo “Across the River” contiene anche un bel libretto dalla grafica raffinata, belle foto, bella carta, testi e una lunga, fitta cavalcata personale sul filo della memoria, che provocherà un tuffo al cuore di chi ha vissuto quegli anni.
Qualcuno forse potrà trovare che ciò sia un limite e che Carolyne Mas sia una musicista matura, fatalmente rivolta al passato. Può anche darsi. Però a noi piace. E siamo tra coloro che pensano che non tutti i passati sono da dimenticare.

Un PS dovuto: l’oleografica definizione “Springsteen in gonnella“, con cui Carolyne Mas fu ai tempi etichettata e con cui ancora oggi, pur per comprensibili ragioni di marketing, viene ricordata, non ci piace affatto. E’ falsa, riduttiva e un po’ irrispettosa. Certo, fa gioco e l’accettiamo.