Giorni fa ho letto distrattamente una dei miliardi di sciocchezze che si leggono su internet.
Nella fattispecie, qualcosa che suonava come “per la nostra generazione la tal cosa (nemmeno ricordo quale) è oggi importante nella stessa misura in cui lo era la musica negli anni ’70“.
Lì per lì mi sono limitato a stigmatizzare e ho tirato oltre.
Poi, però, ci ho riflettuto. E ho provato a leggere da una diversa prospettiva.
Questa: prendere ad esempio la musica come il simbolo e il fulcro di un decennio non è, mi sono chiesto, un modo per dare un implicito riconoscimento a posteriori al fatto che davvero nulla, più della musica, tra il 1969 e il 1979 era al centro della vita della gente?
Forse questa, per chi come me è cresciuto negli anni ’70, è un’affermazione che può suonare ovvia, banale.
Ma è una consapevolezza altrettanto ovvia in chi invece quel periodo non lo ha vissuto di persona? E’, cioè, una cosa così scontata come lo è per me?
Non è bello – e sorprendente e gratificante al tempo stesso – scoprire che, per chi allora non c’era, la centralità della musica a quei tempi è oggi motivo di tale assodata certezza al punto da prenderla come un termine di paragone?
Perchè su una cosa davvero non ci piove: allora la musica era sul serio ovunque, riempiva di sè le cose, ne faceva implicitamente e intimamente parte, plasmava giorni, atmosfere, situazioni, le impregnava di sè.
Intendiamoci: nessuna nostalgia, rivendicazione o vanto in quanto vado scrivendo. E’ la semplice constatazione di una verità. Cioè che qualcosa, tra oggi e quasi mezzo secolo fa, era profondamente diverso.
Questione di punti di riferimento, diciamo.
Così mi torna in mente una vecchia canzone del grande Stevie Forbert e ora muoio dalla voglia di riascoltare il disco:
Tthe nineteen seventies was ten long years
was ten long years to sing a song
It kicked off madly with a new Year’s cheer
I blinked once and it was gone“.
(“I blinked once“, da “Streets of this town, 1988).
Enjoy…