Gowahati è una grande città dell’Assam. L’attraversa il fiume sacro agli indiani. Cosa ci facessi lì di notte, in mezzo all’acqua, su un barcone dove tutti ballano discomusic, me lo chiedo ancora adesso. Eppure ci tornerei.

Dalla mia finestra d’hotel vedevo il Brahmaputra che scorreva solenne. E vedevo un cielo oscurato da corvi grandi, nervosi, che si inseguivano rutilando fino quasi a scontrarsi tra loro.
Sole al tramonto e una distesa d’acqua tanto immensa e lenta da sembrare immobile.
Sulle rive grigie di fango, solcate dai rivoli della marea in ritirata, grandi barconi in secca piazzati lì un po’ a caso come fossero biciclette legate a un palo.
Umidità altissima. Per strada, a Gowahati, l’India di sempre. Suv lucidi, bambini laceri, variegati effluvi, auto strombazzanti, carretti, animali. Mucche, tante mucche. Su uno spelacchiato campetto di calcio che s’intravedeva tra le case, le capre a pascolare.
Ci fanno salire su un furgone per portarci all’imbarco della crociera fluviale. La definivano così.
E’ quasi buio. Se crociera sarà, sarà in notturna. Forse per farci vedere le luci della città, penso.
Primo attimo di stupore: il battello si chiama “Alfresco“. Proprio così. Tutto attaccato, in italiano. Sorrido. E impiego un buon quarto d’ora per tentare di spiegare all’accompagnatore che nella mia lingua quell’espressione significa anche stare in galera.
Saliamo. La città alle nostre spalle echeggia di clacson. Come sempre da queste parti. Il clacson qui è un’appendice, il ventriloquo della comunità in movimento: esprime al contempo paura, impazienza, minaccia, preavviso. L’importante è suonarlo, per far capire che si esiste. Lo suonano anche i centauri mentre sfidano la morte infilandosi tra camion che non li ascolteranno, nè li scorgeranno, mai.
Si levano le ancore e ormai non si vede quasi più niente.
La prua punta al largo. Senti il brontolare dei motori e lo scafo che trema.
Buio davanti, buio ai lati. Altrove non so, ma da dietro la cabina le luci della città lasciano un alone molto tenue. Non dev’essere un grande spettacolo.
Un cameriere ci serve dell’acqua gelata proprio sotto l’insegna “Alfresco”. Stiamo freschi.
Freschi ma non soli: il battello è stracarico. Giovani, adolescenti, famiglie con bambini piccoli e perfino lattanti in carrozzina. Gli unici più anziani siamo noi occidentali. Gli altri sono tutti indiani. Indiani del posto, non turisti. Di vecchi, vecchi veri, nemmeno l’ombra. Mi chiedo che ci facciano a bordo di una nave fluviale che naviga lentissima verso il nulla, dove non si scorge niente, non si sente niente. Non è un traghetto, nè un vaporetto. E’ una “crociera sul fiume”, proprio come scritto nel programma. Boh.
Poi, all’improvviso, flash! Tutto s’illumina. Accecante come può essere un gioco di luci indiano in un’aria impregnata di umidità e di caligine, d’accordo. Ma s’illumina. Vaghi riflessi iridescenti si specchiano sull’acqua marrone del Brahmaputra. File infinite di lampadine cominciano a dondolare appese ai cavi che avvolgono le paratie e si diramano ovunque da antenne, pennoni, tettoie.
Dal capannone a prua, fino a poco prima una sagoma impercettibile nella notte, lampeggia ora una luce stroboscopica. La tromba dell’altoparlante alle mie spalle si lascia sfuggire un ronzio: c’è qualcuno al microfono, dall’altra parte del cavo. Sta per partire un annuncio, un allarme o un invito?
E’ un attimo. Una frazione di secondo. Di colpo capisco.
Ma prima ancora che l’intuizione si faccia pensiero, parte il sibilo. E poi: tum-tum-tum.
Tutt’attorno immagino miliardi di corvi atterriti che si levano simultaneamente in volo nella notte nera. Ed enormi, tozzi pesci di fiume dal nome sconosciuto fuggire fulminei a raggiera per nascondersi nella fanghiglia sul fondo del fiume sacro.
I passeggeri, come tarantolati, si gettano sulla scaletta per scendere sul ponte a prora. Spintoni, urla. Un altro sibilo. Una voce gracchiante e giubilante, a volume altissimo, lancia un appello.
Potrebbe trattarsi di un naufragio. Invece è un disco-party.
Sembra di essere sul Titanic, solo che al posto dell’orchestra c’è un improbabile dj fracassone e i naufraghi sembrano divertirsi un mondo, poveri compresi. Corpulente donne in sari si gettano nella danza, seguite da ragazzotti camuffati da Balotelli in versione indù. Un padre entusiasta dondola nell’aria a tempo di musica la figlia di pochi mesi, che piange terrorizzata mentre la mamma ride e osserva lo spettacolo. Bambini che gattonano liberi tra i piedi dei ballerini. Tutti insieme, allegramente.
Io, stranito, scanso il bailamme e striscio guardingo verso la passerella, perchè l’approdo sembra imminente.
Dopo poco tocchiamo terra.
Mentre lascio la nave i bagliori della discoteca illuminano a intermittenza i barconi in secca, che continuano a sembrare bici al parcheggio.
Mi volto: “Alfresco“, lampeggia l’insegna ora divenuta elettrica.
Sommerso dal fragore di bordo, perfino il caos notturno del lungofiume sembra uno scenario da cinema muto, ma a colori. Clacson inudibili, motori impercettibili. Poi la distanza e le paratie di latta del furgone rendono tutto più ovattato. Sul barcone ballano felici al ritmo del tum-tum-tum.
Nella mente mi ondeggia un’altalena di pensieri sulla decadenza del mondo occidentale, sulla colonizzazione culturale, sull’omologazione dei costumi, sul fascino perverso del surreale. Poi mi domando se sia il caso di giudicare o solo di osservare.
Drin drin drin, tum tum tum. La nave va anche restando ferma agli ormeggi.
I pesci del Brahmaputra nascondono la testa nel fondale limaccioso, agitando la coda. I corvi non ringraziano e continuano a volare.
Siccome sono neri nel cielo buio, nessuno li osserva.
Ma tutti sanno che sono lì. E domattina saranno di nuovo a litigare davanti alle mie finestre.