Il caso Palamara scuote i sepolcri imbiancati della giustizia italiana, intenta a far credere che ci fosse un solo burattinaio e tanti burattini inconsapevoli, giornalisti compresi. I quali parlano poco della vicenda delle toghe e punto di quella, parallela, che li riguarda.

 

I magistrati sono come i giornalisti e la gente comune: ce n’è di ottimi, di buoni, di cattivi, di pessimi e di collusi. Solo che per i primi due dovrebbe essere come per la moglie di Cesare: occorre che siano al di sopra di ogni sospetto.

Invece, e le vicende in corso al Csm dimostrano, non solo non lo sono, ma talvolta fanno comunella, intrecciando amicizie, correnti, favori, apparentamenti ideologici quando non condivisioni politiche. Insomma sono l’antigiustizia e l’antinformazione.
Poi però si vorrebbe che la gente si fidasse di loro.
Nascono da queste scellerate aderenze i processi mediatici, con ampio flusso di documenti, diffusione di dati e notizie privati, strumentalizzazioni, sicariati e avvisi a orologeria, usati negli ultimi vent’anni per orientare, quando non pilotare, le nomine, l’opinione pubblica e le sentenze.
Un segreto di Pulcinella andato avanti impunemente nell’inerzia del sistema: del resto, come si può pensare che cane mangi cane e che l’arbitro-tifoso sia imparziale?
Ecco così le due categorie chiuse a riccio nel difendere – perennemente e aprioristicamente indignate, ma senza mai dimostrare niente – la loro presunta indipendenza. Prone pure, però, a massacrarsi internamente in nome delle correnti e dei rispettivi capibastone. Cose che non c’entrano nulla, sia chiaro, col cinismo, le accortezze, l’intraprendenza, perfino le furbizie necessarie a chi, per lavoro, indaga per mestiere, come appunto giudici e giornalisti.
Lo dico quindi chiaro e tondo: non ho alcuna fiducia che lo scandalo porti a qualcosa, visto il teatrino dei nesci a cui stiamo assistendo, Mattarella compreso.
Recidere il cordone tra le correnti, la politica e i consiglieri“, tuonava ieri alla radio il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini. Bella scoperta: viene infatti da chiedersi dove sia stato finora. Forse su Marte? Dall’Odg, invece, silenzio di tomba. Forse non si vogliono disturbare le grandi manovre elettorali in vista a ottobre.
Luca Palamara, il protagonista della “Palamarata” de quo e appena espulso dall’Anm, ha dalla sua buone carte da giocare. Conosce alla perfezione il meccanismo e rifiuta di fare da capro espiatorio del medesimo: non ho agito nè avrei potuto agire da solo, giura. Difficile non credergli. La pensa allo stesso modo, e lo dice, l’avvocato Giulia Bongiorno ma siccome è della Lega si fa finta che non conti. Lo pensano e probabilmente lo sanno anche un sacco di altre persone, ma per vigliaccheria o convenienza tacciono.
Ora, a me Palamara non è mai stato simpatico. L’ho incontrato per questioni extragiudiziarie e non mi piacque affatto, come molti suoi colleghi, per la strafottenza e il senso di impunità che sprizzava da ogni poro.
Ma, al di là dell’antipatia personale, non potevo certamente escludere che lui e gli altri fossero magistrati specchiati.
Ora però si cerca di far credere che fosse l’unico burattinaio e che tutti attorno a lui fossero vittime o burattini inconsapevoli.
I quali, vista appunto la Palamarata, provano a smarcarsi.
Paiono diventati giornalisti.
Che parlano un po’ di malavoglia di giustiziopoli e praticamente mai di giornalistopoli.
Guarda caso.