Il nostro è diventato davvero “un mestiere per mentecatti”? “Roba da accattoni”? Un “hobby”? “Moribondo”? Come la penso io, è noto. Ma anche chi sta ai veri o presunti piani alti della professione ha, talvolta, una visione molto lucida della situazione.

Più d’una volta, lo ammetto, ho pensato di mollare la mia militanza per e attorno alla professione.
Quella giornalistica, intendo.
Sfiancato un po’ dalle banalità, noiosamente e miopemente rivendicatorie, provenienti soprattutto “dal basso“. Cioè da chi, in sostanza, per ragioni di anagrafe o di bazzicatura, questo mestiere lo conosce poco, a volte solo per sentito dire, e quindi si affanna a discettare più su ciò che immagina che su ciò che pratica. E un po’ dall’irritante inconsapevolezza della comune catastrofe dimostrata, almeno in apparenza, di chi vive al caldo di contratti blindati grazie allo strabismo cronico di un sindacato a geometria variabile.
In questo contesto, che talvolta assume toni da scontro sociale, la vulgata corrente tende in effetti a dipingere quelli del piano di sopra, insomma le gerarchie delle redazioni, come una congerie di dei accidiosi e distratti, lontani, che lascia gli atomi bradi della manovalanza al fluttuare casuale delle correnti professionali.
Cosa che, diciamolo, non di rado corrisponde al vero. Ma non sempre e non del tutto.
Come squilli di tromba, si levano ogni tanto da qui e da lì anche le voci di chi, pur svernando al piano nobile, mostra di essere conscio delle acque fangose che montano dai sottoscala. E che sono destinate, prima o poi, a bagnare pure i piedi dei privilegiati. Sperando che l’allagamento si fermi lì.
Sono opinioni confortanti. Il che non vuol dire condivisibili a priori, sia chiaro. Quasi tutte si basano però su un elemento con il quale mi sento io stesso molto in sintonia e che è, di sovente, sottovalutato dalla massa un po’ (con buoni motivi) irosa dei giovani sans papier dell’ex “mestiere più bello del mondo”: l’esperienza. Quella miscela di vissuto e di disincanto che, nella sua gravità, rende limpida e lungimirante la percezione di chi osserva.
Insomma, è la riprova che il dibattito sul giornalismo c’è. A tutti i livelli.
Si tratta di un dibattito che mi trova, come frequentemente accade, nel loggione dei non allineati. Chi legge questo noiosissimo blog con ragionevole frequenza lo sa bene, quindi non starò certo a ripetermi. Chi vuole approfondire, si scorra qualche decina di post dedicati all’argomento nell’apposita sezione.
Ma la domanda rimane quella: il nostro è davvero diventato, come si legge, “un mestiere per mentecatti“? “Roba da accattoni“? Un “hobby“? “Moribondo“?
Riporto qui sotto i link ad alcuni interessanti interventi, quelli di Matteo Marani (qui), di Stefano Olivari (qui), di Federico Ferrero (qui)  e di Marco Lombardo (qui), raccogliendo l’invito lanciato su FB da quest’ultimo ai colleghi affinchè proseguano senza indugio il dialogo.
Infatti non ho indugiato.