foto di Sergio Cipriani

Centinaia di ritratti, compreso quello (presunto) del grande maestro fiorentino, si aprono a sorpresa a chi visita (i tour aprono a maggio) gli otto piani del percorso sui ponteggi della basilica fiorentina di Santa Croce. Un viaggio irripetibile attraverso l’arte, la tecnica, la Firenze del Trecento, le botteghe, gli operai, la gente, i segreti della pittura.

Volti, ritratti, facce. A decine. A centinaia. Tutti in qualche modo a guardare in giù, a volte beffardi e a volte ispirati, ma il più delle volte invisibili, minuscoli, occultati in fregi e lunette, tondi e sguanci. I visi mitici della regina Elena e della regina di Saba, di Cosroe e di Eraclio, di Seth e di San Michele. Poi quelli, più terreni, di Agnolo Gaddi, l’artista. Di suo padre e artista anch’egli, Taddeo. E degli Alberti, i loro ricchi e potenti committenti. Quello, pare, del maestro dei due Gaddi, nientepopodimeno che Giotto. E infine di tanti altri personaggi oscuri: uomini e donne, belli e brutti, a volte deformi, a volte accigliati, pallidi, rubizzi, calvi e lungocriniti. Manovali, garzoni, amanti, aiutanti, frati, braccianti. Politici e personaggi della Firenze del tardo ‘300, chissà. C’è perfino il profilo irridente di Amedeo Benini, l’ultimo e nostalgico restauratore degli affreschi, che nel 1947, sopraffatto, circondato da quel bestiario umano, non seppe resistere alla tentazione di autoritrarsi con tanto di occhiali sul naso e di fascio littorio sulla testa, nella greca di un fregio. E con lui un misterioso collaboratore col basco.
Vedendoli da vicino, sono loro i veri protagonisti della Leggenda della Vera Croce, l’enorme ciclo di affreschi (850 metri quadrati di superficie pittorica) dipinti tra il 1374 e il 1380 da Gaddi e dalla sua bottega per la cappella maggiore della basilica di Santa Croce a Firenze. Appena restaurati, dopo cinque anni di lavoro. E adesso, per alcuni mesi, visibili al pubblico dai ponteggi di un cantiere (otto piani, trenta metri d’altezza, ascensore interno) che passo dopo passo ti mette faccia a faccia, a pochi centimetri di distanza, con quest’incredibile galleria di personaggi. Innescando nel visitatore la stessa sorta di caccia al tesoro che, dicono, ha coinvolto nel tempo anche storici dell’arte e restauratori, rimasti impigliati nel gioco, un po’ perverso e un po’ leggero, dell’individuazione e del riconoscimento in questo gigantesco album murale delle figurine.
Figurine enormi, naturalmente. E che diminuiscono di numero, ma crescono di dimensioni, via via che si sale in altezza, “pensate” apposta per essere osservate dal basso e mantenere così, nell’illusione ottica, le proporzioni nonostante il variare della distanza dal suolo.
E’ certamente una visione limitata, questa che offriamo, del restauro della monumentale opera d’arte presentata ieri nel capoluogo toscano. Un’operazione che, finanziata in parti uguali (1.130.000 euro ciascuno) dal mecenate giapponese Tetsuya Kuroda (tramite l’Università di Kanazawa) e dall’Opera di Santa Croce, con un contributo di 285.000 euro del Ministero, ha impegnato dal 2005 al 2010 quindici restauratori e costituisce oggi un esempio di collaborazione che, alla luce dei recenti eventi, assume connotati del tutto particolari.
Ma è difficile, una volta saliti sui ponteggi (tra i quali uno a sbalzo che consente di osservare dall’alto verso il basso, in una prospettiva inedita, le pitture), contenere l’emozione derivante dall’opportunità, once in lifetime, di guardare negli occhi figure e personaggi concepiti per essere ammirati solo da lontano ed insieme, nell’ambito di una grande illustrazione sacra e didascalica. Impossibile sfuggire al fascino del dettaglio, quando la prossimità consente di cogliere, quasi toccandoli, i pentimenti d’artista, le giunture tra una “giornata” e l’altra di affresco, le borchie di cera, le tracce d’oro “a conchiglia”, le lacune lasciate dall’inesorabile dissolversi delle finiture a secco. Quelle che in origine dettero al dipinto un aspetto pirotecnico, irto di effetti e di colori accecanti, e che oggi, nonostante tutto, è possibile solo immaginare.
Naturalmente non finisce qui.
Alberto Felici, uno dei maestri dell’Opificio delle Pietre Dure chiamati nell’autunno del 2005 a Santa Croce, non ha dubbi: “Tecnicamente parlando, siamo di fronte alla massima espressione dell’affresco”. Il punto forse più alto di maestria mai raggiunto in questo settore. La perfezione o quasi. Per qualità nella scelta e nell’uso dei materiali, per cura nell’applicazione delle tecniche. Un risultato straordinario che, anche aldilà del valore artistico e figurativo dell’opera, resta per questa ragione una pietra miliare, un benchmark nella storia dell’arte italiana. “Questi dipinti – continua Felici – paiono le illustrazioni del famosissimo Libro d’Arte di Cennino Cennini, non a caso allievo del Gaddi, considerato il primo testo mai scritto sulla produzione pittorica”.
Lasciamo agli storici la parte critica.
Noi ci limitiamo ad aggiungere che il cantiere di restauro del ciclo di affreschi della Cappella Maggiore sarà visitabile a partir da maggio, su prenotazione. Informazioni, costi, orari, etc su www.santacroceopera.it oppure allo 055/2466105.