La formazione obbligatoria è noiosa e inutile? Quella sulla deontologia no di sicuro: lo dimostra lo stupore di tanti colleghi nell’apprendere come novità strabilianti nozioni che dovrebbero essere l’abc del mestiere.
Con buona pace di chi dice che i corsi di formazione professionale per i giornalisti sono inutili e pallosi, quello tenuto giorni fa a Firenze da Laura Pugliesi, membro del Consiglio Regionale di Disciplina dell’OdG, su “Uffici stampa e deontologia giornalistica” è stato utilissimo.
Non solo perchè, anzichè sciorinare solo codici, pandette e carte, è andato anche al sodo facendo esempi pratici dei casi in cui, involontariamente o meno, ai giornalisti capita di pestare la classica deiezione e di finire quindi, se pizzicati, sotto sanzione.
Ma perchè, a giudicare dai copiosi gridolini di meraviglia e sorpresa captati qua e là tra gli astanti nell’apprendere cose in apparenza ovvie (non si fa pubblicità nemmeno sui social, non si può avere una doppia morale o deontologia, un contegno di rispetto della qualifica professionale propria e altrui è basilare, etc), ha dimostrato che le carenze che larga parte della base ha circa i principi deontologici fondamentali di questo mestiere sono vastissime. A volte sbalorditive.
La colpa, naturalmente, non è certo dei colleghi.
O almeno non è tutta loro, ma di un sistema che, per come è degenerato nei decenni sulla base di una legge obsoleta, di una notevole quanto miope manica larga e di un giornalistificio a propulsione atomica, continua a vomitare nel sistema “giornalisti” i quali, nell’80% dei casi, di tale hanno solo il nome: non sanno nulla infatti nè della teoria, nè della pratica del mestiere, nè della delicatezza del proprio ruolo. E vanno a fare compagnia a migliaia di ignoranti pari loro, ma con maggiore anzianità.
Ne consegue che “costringerli” ad imparare l’abbaco del giornalismo è cosa buona, giusta e necessaria.