La professionalità del giornalista è senza dubbio un valore aggiunto da far pesare sul ricco e variegato mercato del lavoro extragiornalistico. Ma resta da sciogliere il nodo del mantenimento dello status.

 

Da un lato l’approfondirsi della crisi del giornalismo tradizionale e la cronica mancanza di occupazione che ne deriva, dall’altro la parallela espansione del mercato del lavoro legato alla comunicazione d’impresa paiono tracciare per i giornalisti, non troppo a sorpresa ma forse con inattese sfumature, nuove prospettive occupazionali.

E le tramutano in opportunità reddituali che, restando nell’alveo dell’attività libero-professionale, non solo consentono al giornalista di agire da tale e quindi di mantenere il proprio status, ma di fare di essa un vero e proprio valore aggiunto da mettere sul piatto per vincere la concorrenza diversamente qualificata che opera sui medesimi terreni.

Non ci riferiamo solo ai diffusissimi contratti di ufficio stampa, ma a un molto più ampio ventaglio di servizi che un giornalista prestato alla comunicazione aziendale può essere chiamato a svolgere: dalla cura dei siti web alle pagine social, dal coordinamento di eventi alla produzione di contenuti per la letteratura aziendale. Tutte attività a cui la professionalità e la forma mentis giornalistica possono dare un forte contributo qualitativo e, perciò, anche qualificante.

Se n’è parlato nell’ultima delle cinque lezioni del corso di formazione che l’OdG della Toscana e la Cciaa hanno organizzato nelle settimane scorse a Firenze. Un corso al quale, va detto, anche da parte del sottoscritto non erano mancate critiche (ad esempio, qui) per l’ambiguità con la quale spesso esso aveva adombrato, nell’illustrare agli iscritti all’Ordine le diverse opportunità di sbocco lavorativo fuori dal giornalismo tradizionale, la compatibilità tra lo status di giornalista e quello di imprenditore.

Stavolta invece – a un uditorio di persone che erano lì perchè dichiaratamente cercavano nuove strade lavorative nell’ambito della propria professione e non, in sostanza, per sentirsi più o meno suggerire di cambiare lavoro nè qualifica – si è spiegato, in termini concreti, in che modo il mondo della comunicazione aziendale rappresenti una potenziale alternativa.

La figura del consulente a 360° per la comunicazione aziendale – questo in sintesi il messaggio del docente, il giornalista Marco Bastiani – non solo si attaglia alla perfezione a chi ha competenze di tipo giornalistico, ma trova proprio in queste un punto di forza, se non addirittura un vantaggio competitivo, che fa leva sull’elasticità, le nozioni trasversali, le capacità di sintesi, l’abitudine a confrontarsi con i fatti tipiche del giornalista.

Anche se “aziendale“, ha spiegato Bastiani, il giornalista rimane sempre tale, pure nei suoi doveri deontologici di rispetto della verità: egli quindi, non edulcorando la realtà ma aiutando il committente a offrire dell’azienda e delle vicende che la riguardano un quadro più ampio e plurale, anche attraverso la evidenziazione di differenti punti di vista, contribuisce a dare dell’azienda medesima un’immagine più affidabile e trasparente.

Naturalmente le insidie sono molte, prima fra tutte la necessità di far comprendere al committente l’importanza di questo valore aggiunto e dell’investimento che essa comporta, nonchè della necessità cogente di resistere alle pressioni, tenendosi in equilibrio tra deontologia e interessi aziendali, propaganda e verità.

Resta però scoperto, in questo scenario, un punto critico: in caso di revisione periodica (e obbligatoria) degli elenchi, in che modo il giornalista impegnato in azienda, e che perciò non scrive articoli, potrà dimostrare all’OdG di svolgere ancora la professione?

Per l’immediato una risposta non c’è e quindi il problema rimane.

Ma ci sarebbe per il futuro: garantire, attraverso l’agognata riforma dell’Ordine, l’accesso all’albo solo dopo un severo e generale esame di ammissione, in modo da garantire che chiunque rivesta la qualifica di giornalista e in qualunque modo eserciti o non eserciti il mestiere, sia comunque dotato della professionalità e della consapevolezza deontologica minime necessarie.

Inclusa la sanzionabilità dei comportamenti scorretti che ciò implica.

O forse è un altro post it sul libro dei sogni?

Inutile dire che mi aspetto acute polemiche sull’argomento.