…E scusate la rima.

 

Ho fatto un mini esperimento, per quel che possa contare (ma qualcosa di sicuro conta).

Stufo del cicaleccio generale e moralista sull’argomento, ho fatto un controllo a campione dei post che su FB parlano di “informazione”. Nel senso che la citano testualmente e, pertanto, ne parlano.

Ne ho presi, a caso, 100.

Cento tra quelli che vedo io, ovviamente, che a loro volta sono un campione dei miei contatti medi (colleghi, amici, concittadini, etc), quindi un po’ sbilanciati anche verso i temi di cui mi occupo più frequentemente.

Dei 100, il 40% sono infatti post di giornalisti nel senso di iscritti all’ Odg, un altro 30% di persone che per lavoro o interesse orbitano intorno al giornalismo e all’ informazione,, il 15% di amici veri e il restante 15% di “amici” FB.

Il risultato è sconfortante.

Al netto della condivisibilita’ o meno delle opinioni espresse, una buona metà degli intervenienti confonde o usa indifferentemente i termini “informazione” e “comunicazione” (la metà di costoro sono giornalisti, dato non irrilevante). Un quarto sovrappone addirittura le due nozioni a quanto pubblicato sui social. L’ultimo quarto ritiene i social “la” fonte di informazione e all’ interno di questa non distingue, né sa distinguere, tra notizie, facezie, marchette e reclame esplicite.

Ora, come detto, il mio è un sondaggio per modo di dire, all’amatriciana.

Eppure basta e avanza a convincermi che, vista anche l’origine media dei campioni esaminati, la dissertazione ad minchiam su argomenti delicati come l’informazione sia ormai un male endemico, assai difficile da curare. Con ciò che ne consegue (il caso della pizzaiola suicida nel Lambro docet).

Buon divertimento.