L’OdG propone al Governo di fissare minimi inderogabili, calibrati sul costo del lavoro subordinato,  esigibili subito, senza azione legale del giornalista verso l’editore (a cui nel caso spetterà l’onere di agire). Se i freelance non fossero ormai quasi estinti, sarebbe una bella notizia.

 

In un pezzo dedicato al dramma satiresco dell’equo compenso dei giornalisti scritto, ahinoi, quasi quattordici anni fa (lo intitolai “L’equo compenso, il Corvo, la Civetta e il moribondo“), paragonai la pietosa vicenda professionale a quella di Pinocchio morente, al capezzale del quale i medici si accapigliano non per curarlo, ma per stabilire se il suo pianto sulla via del trapasso sia sintomo di guarigione o di dispiacere per la fine imminente.

Il decesso della categoria è avvenuto da tempo. E al suo posto aleggia un esercito di smarrite penne fantasma che, come nel film “The Others“, non sa di essere morto e ascolta con terrore il rumore dei vivi, convinto che i fantasmi siano loro.

Tutto ciò mi è tornato in mente giorni fa quando, a un corso dell’Odg tenuto a Firenze dal presidente nazionale Carlo Bartoli e da quello toscano Giampaolo Marchini, siamo stati aggiornati, tra le altre cose, sugli sviluppi del resuscitamento (il termine è d’obbligo) dell’annosa questione dopo la delibera del Cnog del dicembre scorso, della quale già mi occupai, un po’ dubitativamente, qui.

Intendiamoci subito: l’incontro è stato utilissimo e i due presidenti sono stati chiari e puntuali nel rispondere alle domande dei colleghi. Sono uscito soddisfatto di quelle date a me e quindi nessuna polemica. Casomai una diffusa inquietudine e più sotto spiegherò perchè.

Prima credo sia invece indispensabile un breve sunto sullo stato dell’arte. E spero che nessuno me ne voglia se, anche a tutela del mio fegato, ometterò di rivangare colpe, omissioni, giochini e squallidi giochetti, di cui tutti ben conosciamo i responsabili e che sono la causa di un dodicennio di agonia giornalistica generale.

Ciò per dire che, se quel pregresso non ci fosse, le novità fiorentine sarebbero anche straordinariamente buone.

In sintesi: l’Ordine ha chiesto al Ministero di Grazia e Giustizia un decreto ad hoc che finalmente stabilisca, per l’individuazione dell’equo compenso, criteri precisi, senza affidarne la determinazione a metodi analogici i quali, come è comprovato, sono in molti casi (tra cui clamoroso proprio quello dei giornalisti) del tutto inapplicabili alle diverse fattispecie. E in effetti non ci vuole Einstein per capire che il giusto corrispettivo di un articolo di giornale non può essere misurato su lavoro e tariffe di notai e avvocati.

Ma ciò che della proposta è davvero rivoluzionario è il suo corollario: ossia una sorta di inversione giudiziaria in base alla quale il giornalista potrà pretendere immediatamente dal committente il pagamento del compenso stabilito dai citati parametri, come se fosse un titolo esecutivo, senza dover fare alcuna citazione in giudizio per ottenere il dovuto. Sarà casomai editore, se riterrà iniquo o incongruo l’importo pagato, ad dover adire il giudice e avviare una causa contro il giornalista. In altre parole, si prospetta un diametrale ribaltamento delle posizioni attuali, nelle quali tocca al giornalista (coi tempi, i costi e i rischi attuti noti) rivolgersi alla giustizia per ottenere il pagamento: giustizia che comunque, è stato sottolineato, dovrà basare il quantum facendo riferimento ai parametri stabiliti dal decreto.

Il principio, ha poi ripetuto Bartoli, è che il compenso non potrà essere mai inferiore al compenso orario di un giornalista titolare di un contratto di lavoro subordinato, nella misura della mezza giornata o di un’intera giornata di lavoro. Inoltre, tali compensi potranno subire aumenti forfettari dal 5% al 15% sul minimo tabellare in base alla valutazione del giudice, salvo suoi ulteriori aumenti.

Il criterio individuato dal Cnog, ha concluso il presidente, non confligge con gli articoli del codice civile che affidano la determinazone dei compensi dei liberi professionisti alla contrattazione individuale, perchè la proposta si limita a chiedere solo la fissazione di minimi inderogabili, oltre i quali le parti saranno sempre libere di accordarsi diversamente.

Su queste positive premesse, i ragionamenti e gli interrogativi che nascono sono tuttavia copiosi.

Il primo è se la lobby degli editori lascerà che il governo avalli un simile ribaltone e dubitarne è d’obbligo.

Il secondo è se, tra le pieghe del diritto, non si nascondano interpretazioni e codicilli in grado di neutralizzare nella pratica la portata dell’innovazione (esempio, peraltro già noto: potrà l’editore appellarsi a precedenti, pacifici e comprovato accordi col giornalista su compensi di importo inferiore al nuovo tabellare?)

Terzo: in che modo si pensa di edurre la magistratura sull’estrema varietà dei compensi nel nostro settore, corrispondenti all’estrema varietà di prestazioni professionali, tipologie di pubblicazione, etc e quindi sulla necessità di adottare una forcella amplissima?

Quarto: sarà in grado anche il nostro OdG di ampliare i propri orizzonti all’intera professione e realizzare quanto sopra, alla luce dei poco incoraggianti precedenti legati ai tempi delle “bollatura” delle fatture dei freelance?

Quinto: l’Ordine avrà la coerenza di equiparare le tabelle per l’equo compenso con quelle per la valutazione di congruità dei compensi in sede di istruttoria per l’ammissione dei nuovi pubblicisti e di revisione degli albi?

Sesto: la categoria e chi in teoria dovrebbe difenderne gli interessi economici saranno in grado di arginare il probabile tentativo di ribasso che gli editori cercheranno di compiere verso i (purtroppo pochi) compensi attualmente superiori ai minimi tabellari e, in generale, il tentativo di trasformare i minimi in tariffe fisse?

Settimo: dovrei compiacermi nello scoprire che finalmente qualcuno ha fatto proprie le posizioni sul minimo inderogabile che per anni ho sostenuto, tra lo sbeffeggiamento dei più e massime dei sindacalisti? Risposta: no. Però un po’ mi girano.

Ottavo e ultimo: sperare è bello, ma constatare che queste prospettive si aprano quando, da tempo, la categoria della libera professione giornalistica ha tirato le cuoia per inedia e sinecura sindacale rende soverchiante l’amarezza per un mestiere in gran parte perduto.