La disputa in corso sul “giornalista-imprenditore” tende a mettere in ombra il ruolo della cultura generale e della professionalità del singolo, i veri strumenti di una rinascita lavorativa che non sia solo ambiguo riciclarsi.

Non so se sia vero che il caro vecchio Montanelli, sempre lui, dicesse che “il giornalista è colui che non sa quasi niente di nulla, ma deve far credere di sapere tutto di tutto“.
Se fosse vero, per una volta dovrei dissociarmi dal Maestro.
Almeno dal mio punto di vista di libero professionista.
Perchè l’esperienza mi ha insegnato e i risultati mi hanno dimostrato che è vero esattamente l’opposto: quando il lavoro traballa, le uniche cose che ti possono salvare sono la competenza nelle cose di cui ti occupi e la capacità di saperti occupare competentemente di tante cose. Un po’ come nell’approvvigionamento del petrolio: solo la diversificazione delle fonti (di committenza, nel nostro caso) ti può affrancare dal braccino corto e dai capricci degli sceicchi bizzosi.
So perfettamente che il confine tra “vasta prepararazione“, “buona cultura generale” (a mio avviso, con curiosità intellettuale e onestà morale, il requisito indispensabile del giornalista) e “tuttologia” è labile e opinabile.
Labile, ma non inesistente però.
La differenza tra il tuttologo e il competente la fa l’umiltà: se sai di non sapere abbastanza, ti vai a documentare, chiedi a chi ne sa di più. Se poi sei un giornalista, dovresti anche avere metodo e tecnica per documentarti nel modo più ampio possibile e nel tempo più breve possibile.
Tutto ciò si condensa in pratica in una parola magica: professionalità.
Spesso è la professionalità l’ultima risorsa a cui aggrapparsi per salvare il proprio lavoro e continuare a pagarci le bollette. A volte non basta, ma se non c’è quella è perfino inutile provarci.
Questa considerazione, che i soliti noti riterranno senile, mi è venuta in mente rileggendo il carteggio, dai non rari toni surreali, intercorso in questi giorni sulla questione del “giornalista-imprenditore“. E ripensando a tutta la fuffa che è stata messa in circolazione nel tentativo di negare l’incompatibilità deontologica (nonchè legale) tra le due figure, nonchè di salvare la posizione un po’ imbarazzante dei sempre più numerosi colleghi intenti nella disinvolta pratica di tenere il piede in due non limpidissime staffe.
Ne consegue che il mio sommesso ma rinnovato suggerimento, a giornalisti giovani e meno giovani che si trovino in difficoltà con la professione e i conti di fine mese, a lasciare da parte l’idea di “arrangiarsi” troppo, ad esempio gestendo in parallelo al proprio mestiere di cronisti imprese o iniziative inconciliabili con lo stesso, e diano fondo invece alle loro risorse intellettuali per ampliare al massimo la gamma dei propri interessi, competenze, capacità e pertanto anche le opportunità di richieste, incarichi, committenze.
Anche a costo di investire tempo per imparare cose nuove, tecnologie comprese intendiamoci, o approfondire settori completamente diversi dai loro abituali.
Certo, non è una garanzia di successo, ma nella vita nulla è sicuro.
Riciclarsi nella propria professione, però, è spesso più facile e dignitoso che arrangiarsi, dovendosi poi arrampicare sugli specchi.
E siamo poi certi che, alla lunga, l’ambiguità paghi?