Da qualche anno il “sacro fuoco” dell’informazione, complici le nuove tecnologie e internet in primis, sembra aver conquistato un numero sempre più grande di persone. Le quali, solo perchè scrivono, ritengono di “informare”. Ovviamente in modo “alternativo”, che nella loro accezione vuol dire “vero”, “libero” e “sincero”, in contrapposizione all’informazione “ufficiale”, quella a mezzo stampa. Ma perchè, se a nessuno viene in mente di curare la gente senza essere medico, di fare rogiti senza essere notaio, di progettare ponti senza essere ingegnere, deve venire in mente di fare informazione senza essere giornalista, la figura professionale cui la legge demanda questo compito (dettandone doveri e responsabilità)?

Giorni fa, la risposta un po’ fuori tema di un amico blogger alla pubblicazione di un mio post piuttosto pepato (vedi) in materia di uso scorretto della rete e della commistione imperante tra pubblicità e informazione da parte di chi, spacciandosi per o sottindendendosi giornalista, in realtà vende servizi commerciali agli ignari e spesso ingenui internauti, ha dato origine a un intenso scambio di email tra il sottoscritto e il citato amico. Il quale, per esemplificare l’abissale differenza e per rivendicare il presunto scarto di trasparenza tra me (giornalista) e lui (blogger), ha citato il fatto che io, invece di pubblicare immediatamente i suoi post (che ripeto, aldilà della bontà degli argomenti erano fuori tema e affermavano cose sulle quali mi riservavo di fare i dovuti accertamenti), li avevo “messi in attesa”. Al che ho risposto che, vista la mia professione e considerato il fatto che www.alta-fedelta.info è una blog-zine, cioè un prodotto giornalistico editato in forma di blog, la verità era quella esattamente opposta: invece di prendere per oro colato quanto egli affermava, ho voluto e dovuto verificare le informazioni che egli mi dava, come impostomi dalla deontologia.
Nessuna polemica, sia chiaro. Ma si è trattato di una divergenza di vedute che, per la prima volta, mi ha mostrato quanto abissale siano le distanze, l’incomprensione e direi perfino l’incomunicabilità tra il mondo dei giornalisti e quello dei blogger.
In tale incapacità di mettersi in sintonia non ci sarebbe nulla di male se da parte dei cosiddetti blogger, esclusi ovviamente i colleghi che curano un blog e che pertanto sono prima giornalisti e poi blogger, non ci fosse la convinzione di essere loro i “veri” portatori di informazione, o comunque di fare un’informazione uguale, parallela, se non migliore di quella di chi ha i titoli legali per farla e la fa professionalmente.
Roba che, a ben pensarci, è una vera follia. L’attività giornalistica (perchè in essa consiste fare informazione) è demandata e riservata dalla legge a una precisa figura professionale, quella del giornalista. Qualifica alla quale si giunge ottenendo l’iscrizione ad un apposito albo, l’albo dei giornalisti. Esattamente come accade per medici, avvocati, ingegneri, agronomi, geometri, commercialisti.
Ora, anche aldilà dell’aspetto formale (cioè dell’abuso di titolo professionale da parte dei blogger che si autodefiniscono giornalisti e/o si comportano, si accreditano, si muovono come se fossero tali), mi chiedo: ma perchè i blogger non fanno come tutte le persone “normali” e, se vogliono diventare operatori dell’informazione, non diventano giornalisti? Acquisirebbero i titoli necessari e giustamente si sottoporrebbero ai vantaggi, svantaggi, regole, norme e obblighi della categoria.
Ci ho riflettuto a lungo. E sulle prime pensavo che fosse sempre e comunque una questione di banale ingenuità, di idealismo, di smania di porsi fuori dal coro, di voglia di protagonismo e di visibilità.
Poi ho capito che non sempre è così. E che la volontà di tante (non tutte, ovviamente) figure borderline che operano su internet è assai più maliziosa. Ergersi a tribuno della verità, ma senza nulla da dimostrare, senza obblighi da rispettare, senza verifiche da fare, senza responsabilità da assumersi, è comodo. E’ comodo anche agire senza il rischio di accertamenti, potendo in ogni momento saltare da un binario (quello dell’informazione) all’altro (quello della pubblicità). Già perchè il giornalista, per etica e per legge, non può farne. Mentre il blogger sì. Non è che la tanto sbandierata “diversità” sia tutta qui?

PS: a scanso di equivoci metto qui sotto, ringraziando Franco Abruzzo che me le ha fornite, qualche sentenza che dice chiaro e tondo chi, come e perchè è abilitato a fare informazione e chi no.

Concetto di giornalismo e di attività giornalistica
Il giornalismo è tradizionalmente definito ; estensivamente indica anche “la professione del giornalista” e “la categoria dei giornalisti o il complesso dei giornali”.
Non esiste il concetto giuridico di giornalismo. Il concetto, abitualmente estrapolato dall’articolo 2 della legge professionale n. 69/1963 (quello dedicato all’etica della categoria), si riassume nella frase . Il primo comma dell’articolo 2, infatti, dice: <È’ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica.....>. Questo vuoto è stato, però, riempito da alcune sentenze della Corte di Cassazione:
a) La nozione dell’attività giornalistica, in mancanza di una esplicita definizione da parte della legge professionale 3 febbraio 1963, n. 69 o della disciplina collettiva, non può che trarsi da canoni di comune esperienza, presupposti tanto dalla legge quanto dalle fonti collettive, con la conseguenza che per attività giornalistica è da intendere l’attività, contraddistinta dall’elemento della creatività, di colui che, con opera tipicamente (anche se non esclusivamente) intellettuale, provvede alla raccolta, elaborazione o commento delle notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi d’informazione, mediando tra il fatto di cui acquisisce la conoscenza e la diffusione di esso attraverso un messaggio (scritto, verbale, grafico o visivo) necessariamente influenzato dalla personale sensibilità e dalla particolare formazione culturale e ideologica (Cass. civ., 23 novembre 1983, n. 7007; Riviste: Mass. 1983).
b) E’ di natura giornalistica la prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e all’elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale (che può indifferentemente avvenire mediante l’apporto di espressioni letterali, o con l’esplicazione di espressioni grafiche, o ancora mediante la collocazione del messaggio) attraverso gli organi di informazione (Cass. 1/2/96 n. 889, pres. Mollica, est. De Rosa, in D&L 1996, 687, nota Chiusolo, Il giornalista grafico e l’iscrizione all’Albo dei giornalisti).
c) “Per attività giornalistica deve intendersi la prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione; il giornalista si pone pertanto come mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso…… differenziandosi la professione giornalistica da altre professioni intellettuali proprio in ragione di una tempestività di informazione diretta a sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli, per la loro novità, della dovuta attenzione e considerazione” (Cass. Civ., sez. lav., 20 febbraio 1995, n. 1827).
d) Il carattere creativo dell’attività giornalistica non significa che essa debba essere necessariamente oggetto di un rapporto di lavoro autonomo. In realtà, fermo restando il carattere essenziale della creatività, essa può costituire prestazione di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato, a seconda delle modalità della collaborazione tra il datore di lavoro e il giornalista. Tuttavia, il. vincolo della subordinazione assume una particolare configurazione nel rapporto di lavoro giornalistico, per la natura squisitamente intellettuale dell’attività del giornalista, per il carattere collettivo dell’opera redazionale, per la peculiarità dell’orario di lavoro e per i vincoli posti dalla legge per la pubblicazione del giornale e la diffusione delle notizie. Ne consegue che sussiste un contratto di lavoro subordinato quando il giornalista si tenga stabilmente a disposizione dell’editore per eseguirne le istruzioni, mentre sussiste un contratto di lavoro autonomo quando le prestazioni siano singolarmente convenute in base a una successione di incarichi fiduciari e la remunerazione sia subordinata alla valutazione da parte del direttore del giornale e commisurata in relazione alla singola prestazione (Cass., sez. lav., 14 aprile 1999, n. 3705).
Un aiuto per inquadrare il concetto di attività giornalistica e di giornalista viene anche da sentenze di altri e diversi giudici:
a) Deve escludersi l’ammissibilità della preposizione ad un ufficio stampa di un giornalista professionista esterno, allorché le competenze in concreto conferite alla struttura non implicano l’applicazione prevalente degli elementi della “creatività” dell’ “intellettualità” e dell’ “intermediazione critica” delle notizie, costituenti l’essenza della professione giornalistica dovendosi in tale ipotesi ricorrere alle prestazioni di un dipendente dell’ente, evitando ingiustificate spese aggiuntive (Corte Conti, regione Sardegna, sez. Giurisdiz., 8 giugno 1994, n. 262; Riviste: Riv. Corte Conti, 1994, fasc. 3, 118).
b) L’attività giornalistica è caratterizzata dall’elemento della creatività, per cui può essere definito giornalista con conseguente applicabilità del Ccnl relativo, colui che nel riportare una notizia compia un’opera di mediazione tra la notizia e la sua diffusione (Pret. Torino, 1 agosto 1992; Parti in causa Brunati c. Soc. ed. La Stampa; Riviste: Dir. e pratica lav., 1993, 135).
Il giornalismo, quindi, secondo la Corte di Cassazione, è caratterizzato:
a) dalla raccolta, dal commento e dall’elaborazione di notizie (attuali) destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale;
b) dall’elemento della creatività;
c) dalla tempestività di informazione diretta a sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli, per la loro novità, della dovuta attenzione e considerazione;
d) dagli elementi della “creatività”, dell’ “intellettualità” e dell’ “intermediazione critica” delle notizie.
La dottrina e la giurisprudenza legano il giornalismo all’attualità sulla base dell’articolo 32 della legge professionale e dell’articolo 44 del Regolamento di esecuzione della stessa legge i quali prescrivono, infatti, per la prova scritta dell’esame di idoneità professionale, la . L’attualità, quindi, è una connotazione centrale e qualificante della professione giornalistica.

Il rigore della Cassazione penale per l’attività professionale caratteristica, anche se non esclusiva, svolta da chi non è iscritto in un Albo. “Il compimento, da parte di un non iscritto in un albo, di prestazioni caratteristiche di una professione regolamentata, purché non esclusive o riservate, è lecito solo se occasionale e gratuito, mentre costituisce il reato dell’articolo 348 Cp se ha carattere di onerosità e di continuità, integrante un esercizio professionale” (Cassazione, Sezione VI penale, 8 ottobre 2002-8 gennaio 2003, presidente Sansone, rel. Milo; vedi anche Cassazione civile sentenza 19 giugno 1973 n. 1806)..

Legge 69/1963 sull’ordinamento della professione di giornalista.
CAPO III – Dell’esercizio della professione di giornalista.

Articolo 45. Esercizio della professione.
Nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell’albo professionale. La violazione di tale disposizione è punita a norma degli artt. 348 e 498 del cod. pen., ove il fatto non costituisca un reato più grave (1/d).