di FEDERICO FORMIGNANI
Mare punto, ma acque tante: nel passato i pescatori sapevano trasformarsi in mestri d’ascia e costruirsi gozzi, dinghi, lance, battelli, barconi, chiatte. Con l’ingegno e qualche furto di “segreti industriali”.

 

All’epoca in cui la pesca era attività fiorente nei fiumi e nei laghi lombardi, è probabile siano stati gli stessi pescatori a trasformarsi in “maestri d’ascia”; a questi artisti dell’utilità e della necessità si deve, attraverso il tempo, la costruzione interamente a mano di bellissime barche di legno: gozzi, dinghi, lance, battelli, barconi e, nel Naviglio Grande, di quelle grosse chiatte che trasportavano in prevalenza sabbia ed erano chiamare cobbie o cagnone.

Come venivano costruite le imbarcazioni lombarde, per la pesca nei laghi?

In maniera a dir poco essenziale. Dopo esser state sgrossate, le tavole di legno venivano accostate e cucite con dei grossi chiodi passanti di ferro tenero che venivano girati, quindi ripiantati e girati di nuovo in modo da formare una graffa che teneva unite le tavole alle quali si dava una leggera curvatura a formare il fondo. Una traversa e due sostegni laterali simmetrici completavano l’opera. Lo scafo era quindi fasciato, calafato e impeciato sia all’interno sia all’esterno; si usavano naturalmente legni del luogo: castagno, robinia e frassino. Infine, venivano dipinti i bordi, i cerchi e il pattino di prua.

La nav o navel era la classica imbarcazione destinata alla pesca. Di forma rotondeggiante e svasata, estremamente robusta, presentava un fondo piatto sovrastato da tre cerchi che reggevano la tenda per la notte, utile per ripararsi anche dalla pioggia; i pescatori rimanevano a volte sul lago per un’intera settimana. La nav poteva raggiungere lunghezze comprese fra i sette e gli otto metri e larghezze di poco inferiori ai tre metri ed era caratterizzata da una prua molto larga e più alta rispetto alla poppa. L’imbarcazione era manovrata da quattro remi lunghi poco più di tre metri, ma in presenza di vento utilizzava la classica vela quadrangolare, tipica dell’area prealpina e padana, la cui origine si presume possa risalire all’età romana. Non aveva timone; le manovre, eseguite sempre stando in piedi, erano affidate ai remi e consentivano una buona governabilità della barca. I colori impiegati per dipingere la nav erano per solito scuri: nero pece, grigio o verde scuro. Lo scafo veniva costruito con legno di castagno, mentre l’albero era in abete e per i remi, di preferenza, si utilizzava il faggio o il tiglio, con gli scalmi in rovere: per i cerchi, qualunque legno andava bene, purché possedesse doti di elasticità che ne facilitassero la curvatura.

Poi c’era il batèl, che veniva utilizzato un tempo più come barca da pesca che da passeggio, a differenza di quanto avviene ora; addirittura con un nuovo e romantico nome (Lucia) per la gioia degli innamorati. Una leggenda del lago d’Iseo racconta di un certo Archetti giunto a Montisola con disegni rubati nei cantieri veneziani, che avrebbe modificato la gondola adattandola alla navigazione in acque dolci, per la pesca e il trasporto.

Il cumbàll, ora scomparso, era al contrario un’imbarcazione di maggiori dimensioni e veniva impiegato per i grandi trasporti: sabbia, ghiaia, bestiame per le fiere, balle di carta per le cartiere. Era in grado di navigare, oltre che nelle acque dei laghi, anche sui fiumi: attraverso il Lario e l’Adda si spingeva sino a Milano lungo il Naviglio della Martesana, trasportando pietre e legname. Questo antico “tir a vela” poteva raggiungere lunghezze fino a circa venticinque metri per cinque di larghezza; notevole la portata, pari a qualcosa come sessanta tonnellate. Lo scafo, a fondo piatto, aveva fianchi rotondi e appariva slanciato sia a prua che a poppa; il ponte aveva spazio a sufficienza per una cabina. Al pari dei grandi burchi fluviali, i barcaioli spingevano il cumbàll anche servendosi di lunghi pali che facevano leva sui fondali. Su questo enorme natante, si era conservato l’uso del grande timone laterale posto a dritta.

Altro natante da trasporto era la gondola lariana, con fondo piatto, prua sottile e ricurva, poppa rigonfia dalla quale scendeva, oltre lo scafo, un lungo timone. Un natante semplice e tuttora in uso specie nelle aree di palude e verso le foci dei fiumi è il quattràss (quattro assi) dalla forma completamente quadrata. Adatto ai bassi fondali e alle acque calme, viene utilizzato per il trasporto di materiali vari (fieno, legna, merci assortite) e può arrivare a sopportare un carico di circa venti quintali. Può essere manovrato con i remi ma di preferenza si utilizza il palo, traendo spinta dai fondali. Dai tempi di Bettin da Trezzo, che nell’anno 1486 ricorda i possenti “comballi” e i più leggeri cymbi, si può affermare che è passata davvero tanta acqua sotto i legni delle imbarcazioni lombarde.