di FEDERICO FORMIGNANI
L’influenza della lingua spagnola su quella italiana comincia nel 1282 con l’arrivo degli Aragonesi in Sicilia e dura fino ai giorni nostri, anche con parole insospettabili.

 

La prima vera conquista dell’Italia da parte della Spagna risale all’anno 1282, con Pietro d’Aragona che sbarca in Sicilia e viene proclamato re, a seguito della rivolta dei Vespri. Negli anni che seguono, la lotta degli Aragonesi contro gli Angioini vede l’impiego dei mugàveri o almogàveri, soldati catalani scelti, addestrati per le incursioni. Nel 1442 Alfonso V d’Aragona conquista Napoli. Gli Aragonesi dominano tutta l’Italia meridionale, Sicilia e Sardegna comprese.

Con la presenza spagnola in meridione, entrano in Italia parole e comportamenti diversi.

Termini e abitudini correlati al mondo equestre, a quello navale e militare, al mondo degli affari e dei dispacci delle corti ispano-italiane.

Ma è dopo il trattato di Cateau-Cambrésis del 1559 che il predominio iberico in Italia diviene pressoché totale. Oltre al Ducato di Milano, la Spagna amministra lo Stato dei Presìdi e l’Elba in Toscana, più il Regno di Napoli, la Sicilia e la Sardegna. Un anno prima della sua morte, avvenuta a Toledo nel 1529, Baldassarre Castiglione pubblica Il libro del Cortegiano, nel quale precisa che le lingue richieste per avere successo sono la spagnola e la francese, tant’è che afferma: “…il commercio dell’una e dell’altra nazione è molto frequente in Italia e quei due Prìncipi (Francesco I° di Francia e Carlo V di Spagna) per essere potentissimi nella pace, sempre hanno la corte piena di nobili cavalieri, che per tutto il mondo si spargono, e a noi pur bisogna conversar con loro”. Lo spagnolo è lingua necessaria, dunque, lo parlano bene lo stesso Castiglione, il Tolomei, il Bembo, Paolo Giovio, il Redi e il Magalotti.

La vita militare e marinaresca viene grandemente influenzata dalla dominazione spagnola. Parole quali “infante, alfiere, flotta, risacca, nostromo, rotta, recluta” divengono d’uso comune. L’arte del cavalcare subisce notevole impulso così come le danze praticate nella penisola iberica conquistano le corti italiane. Al suono delle ciaccone e delle pavaniglie, prende sostanza un certo tipo di comportamento che prevede il baciamano, il sussiego, la creanza; in una parola: l’etichetta. In occasione di una sua visita a Madrid del 1688, il Magalotti scrive: “…arrivato a Madrid, e quivi udito a ogni poco es etiqueta de corte, etiqueta de la Casa de Borgoña, al mio ritorno in Italia cominciai a dire ancor io in italiano “etichetta” nel suo vero significato di regolamento, pratica, costumanza, stile”.

Altra eredità spagnola, di non trascurabile importanza, è quella riferita alla moda. Scrive Rosa Levi Pisetsky riguardo agli abiti del Cinque-Seicento: “…dalla Spagna viene la moda del corpetto a punta, che si apre spesso a triangolo sul busto o pecto sottostante, e soprattutto nelle maniche imbottite con gli spallini rigonfi e gli alti polsini, e anche delle gonne a campana talvolta aperte sulla sottana interna allargata alla faldiglia, che è indumento tipicamente spagnolo anche nel nome”. Gli uomini, prosegue, mettono in mostra una grande lattuga insaldata all’abito e i gonfi calzoni detti, appunto, braghesse alla sivigliana. La moda regala inoltre gli alamari, il guardinfante e così via.

Anche nell’architettura la Spagna lascia la propria impronta. Basti pensare all’imponente complesso della mura difensive che circondavano Milano e al Quartiere spagnolo di Napoli, con la centralissima Via Toledo. Sulle orme poi del celebre santuario catalano, anche a Novara viene dedicata una chiesa alla Madonna Nera del Montserrat.

Nel 1713, con la Pace di Utrecht, finisce l’avventura italiana della Spagna: avventura che ha influenzato (e alla grande!) anche il mondo popolare dei dialetti.

L’elenco delle parole spagnole e delle relative abitudini comportamentali sarebbe troppo lungo. Potremo ricordare il ciasco (la burla) e il verbo ammoinare (infastidire) presenti a Napoli. La carpetta (cartella) unitamente al simpatico pantapédi (calcio, pedata) delle parlate siciliane. Fra le parole dialettali del milanese antico, quello usato dal grande commediografo Carlo Maria Maggi nel Seicento, troviamo vocaboli scomparsi quali comètta (sp. cometa, aquilone), l’aggettivo fogôs (sp. fogoso, impetuoso), il verbo despedìss (sp. despedirse, spicciarsi).

Restano, per concludere, le influenze arrivate in Italia dai paesi del Sudamerica, colonizzati dagli spagnoli, e quelle di una storia più recente. Cibi quali il cacao, la cioccolata, il mais, la patata, sono noti a tutti. Così come tutti, o quasi, hanno prima o poi ballato ai ritmi di tango, bolero, rumba, o cha-cha-cha. La guerra civile spagnola ha fatto conoscere, per mezzo di una letteratura puntuale e attenta, la guerriglia, i miliziani, la garrota. Più recente è il golpe, figlio dei nostri tempi inquieti. Non sarebbe male anteporgli la siesta, anch’essa universalmente nota e senza dubbio meno pericolosa.