Loro lo cacciano e lui ne approfitta per raccontare la sua storia. La storia maledettamente comune di un giornalista di provincia, dove i “vecchi” rivedranno se stessi e i giovani il loro futuro (se non cambiano idea alla svelta).

C’è chi gli anni sabbatici se li prende per scelta e chi li subisce. Nel senso che qualcuno lo costringe a prenderselo, il periodo sabbatico.
Antonio Loconte fa parte dei secondi: più o meno un anno fa lo hanno cacciato dalla tv dove lavorava e la sua “vacanza” è cominciata lì.
Loconte è un giornalista. Di quelli con la passione, che hanno cominciato dal nulla, in provincia, e con determinazione feroce – a volte perfino autolesionista – hanno continuato in una carriera fatti di ostacoli quotidiani, imprevisti, mancanza di santi in paradiso, momenti di esaltazione ed altri di scoraggiamento. E di pochi soldi, è ovvio. Passo dopo passo, in quel cammino costellato di false certezze come il raggiungimento della qualifica di “professionista” e la vincita di qualche premio giornalistico.
Insomma Antonio Loconte è un giornalista maledettamente comune. E maledettamente comune è la sua storia professionale. Costellata, come quella di tutti i giornalisti abituati ad agire sul campo, di alti, bassi, episodi ridicoli e parentesi tragiche, trasalimenti, speranze tradite, goffaggini, scoop e tutto l’armamentario di esperienza che gonfia l’aneddotica individuale.
La differenza è che lui, invece di raccontarlo al bar o con gli amici, ha approfittato del periodo sabbatico e ha messo tutto per iscritto. E poi ci ha fatto un libro: “Senza paracadute: diario tragicomico di un giornalista precario” (Adda Editore, 242 pagine, 15 euro).
Chi ha sulle spalle qualche stagione di carriera in più, ci ritroverà tutta la soave canaglieria delibata mille volte tra le pieghe misere di una professione che, per ragioni incomprensibili a chi la vive, continua ad esercitare sui giovani e sull’opinione pubblica una fascinazione infinitamente superiore alla realtà dei fatti.
Chi invece, per l’appunto, culla ambizioni e speranze di entrare nel dorato mondo del giornalismo, o chi invece ci è già dentro ma non ha ancora capito l’antifona, dovrebbe adottare il volume di Loconte come libro di testo. Oppure come palla di vetro per autovaticinare ciò che lo aspetta. Perché andrà di sicuro in quel modo, fidatevi.
Anzi, la forza del tomo è proprio la sua assoluta mancanza di originalità: cioè che gli episodi raccontati non sono le eccezioni, ma la regola in questo mestiere. Non siparietti occasionali, ma assolutamente normale vita giornalistica di provincia.
Sfido chiunque, tra i colleghi, a non ritrovarsi almeno un po’ in episodi come quello del direttore che ti passa davanti come se fossi trasparente, della vicina di scrivania bonazza che ti fa agitare con le sue minigonne e i suoi scolli, dei pezzi rifatti e puntualmente cestinati, dello squallore di certi stanzoni maleodoranti detti redazioni, delle nottate in bianco, delle spese a tuo carico, di qualche minaccia raccolta qua e là, dell’invidioso che ti guarda in cagnesco, delle soddisfazioni subito pareggiate dalle brutte figure e dal “bello della diretta”, delle sghignazzate irrefrenabili, del surreale e del grottesco finemente assemblati di certe situazioni professionali.
Non sto qui a rovinare la sorpresa entrando nel dettaglio, ma il quadro che fa Loconte non è realistico, è proprio reale.
Forse è grazie a questa operazione-verità ben scritta, esplicitamente “vissuta” e ricchissima di godibili schetch (un classico: la spedizione notturna a intervistare la pornodiva per un servizio piccante che poi va in onda all’orario delle casalinghe, naturalmente a tua insaputa), che il nostro è riuscito a convincere Antonio Caprarica a scrivere la prefazione e molti colleghi (tra i quali Pino Aprile, il presidente dell’OdG Enzo Iacopino, Massimo Alberizzi, Romano Bartoloni e perfino il sottoscritto) a scrivere una postfazione di commento alla sua vicenda.
In termini di stretta attualità, insomma, “Senza paracadute” ha una sola pecca: non è dedicato al ministro Fornero.
Peccato, anche se naturalmente non è colpa di Loconte.