E’ mancato Paddy Moloney, uno dei padri della musica folk irlandese, leader dei Chieftains, ma anche navigatore coraggioso, musicista disincantato, artista curioso. Che tempi e che intervista da imbranati quella che gli facemmo il 22 febbraio 1979.

 

L’ho già scritto in un vecchio articolo, da cui sto scopiazzando (ma plagiare se stessi non è disdicevole, no?): il colore di quegli anni “completamente marroni” (cit.) si rifletteva alla perfezione nelle tappezzerie un po’ lise, le moquette dalle fantasie improbabili e i sipari di velluto impolverato sullo sfondo dei quali tutto si svolse.

Per chi non c’era è difficile capire, oggi, l’atmosfera di allora.

Nella seconda metà dei ’70, quando io e qualche sparuto amico eravamo già troppo giovani e troppo squattrinati per pensare (anzi, era impensabile) di andare a vedere qualche raro concerto, ci avevano pensato gli autoriduttori a far scappare dal palco i pochi coraggiosi. “Vade retro, Santana! Vado, anzi fuggo” titolò un quotidiano milanese di cui ancora conservo, ma chissà dove, il ritaglio, quando il chitarrista messicano dovette abbandonare precipitosamente il Vigorelli milanese inseguito da bulloni e molotov.

Per un biennio la già periferica Italia diventò off limits per il rock and roll.

E per un’intera generazione, appunto la mia degli allora sedicenni, la musica potè a lungo solo essere immaginata.

Così, quando sui muri fiorentini leggemmo l’annuncio che i Chieftains avrebbero suonato all’auditorium della Flog, superata l’incredulità cominciarono le grandi manovre in vista dell’evento.

Intendiamoci, non è che quegli irlandesi fossero proprio rock, anzi ammettiamo che lo erano poco o nulla, ma bazzicavano la stampa di settore, collaboravano, condividevano, insomma si collocavano sul confine, comunque dentro l’alveo dei nostri potenziali interessi. Popolari, in senso di celebrità, dalle nostre parti non si potevano dire. Noi però li conoscevamo bene, nel senso che di foto e articoli ne avevamo visti a bizzeffe e forse ascoltato pure qualcosa.

L’eccitazione era massima: un concerto vero, di musicisti niente affatto commerciali poi, a dieci minuti da casa.

La radio (Radio Alternativa Fiorentina, l’emittente della curia che coi compari frequentavamo – dobbiamo confessarlo – a soli fini radiofonico/musicali) fu il nostro braccio armato. Precettato il miglior tecnico con due registratori, uno per il concerto e uno per le interviste. Mobilitata un’intera squadra di quattro cronisti, quorum ego, ai quali fu affidato il compito di studiare la materia e preparare una domanda per uno da rivolgere ai musicisti, ma che fosse ponderosa! E infine ingaggiato il babbo english speaking di uno di noi per la sbobinatura, nella certezza che, se i quesiti forse sarebbero stati zoppicanti, le risposte sarebbero state per noi di sicuro incomprensibili.

Chiedemmo un accredito e, incredibile!, ci fu concesso. Chiedemmo di poter intervistare i Chieftains e ci fu risposto “of course“. Sbalordimento.

Il concerto volò via. La gente ballava. Imparammo i nomi e i suoni di strumenti visti solo di sfuggita scartabellando tra le rastrelliere dei negozi di dischi: il bodhran, le uilleann pipes.

Arriva il momento delle interviste. Salivazione azzerata. Domanda ripetuta a memoria decine di volte per non dimenticare le parole.

Si presenta lui, Paddy Moloney. Il leader. Sereno, sorridente, divertito, disponibile. Aveva una chioma che pareva uscito da un’edizione illustrata dei Viaggi di Gulliver. Ci guardò incuriosito, mani in tasca. Noi paralizzati. Poi il più disinvolto prese coraggio e formulò il fatale interrogativo: “Why do you play folk music?“.

Moloney rimase un tantino perplesso, poi sciorinò una lunga spiegazione in angloirlandese stretto che, come previsto, risultò incomprensibile. “What are your relations with Oldfield (Mike, ndr)?“, chiese un altro. L’espressione dell’intervistato fu quella di chi mai avrebbe pensato gli potesse essere domandata una cosa simile. E così via, almeno per la durata di una facciata di una cassetta C90 (allora l’unità di misura del tempo era quella).

Era il 22 febbraio 1979. Non l’ho più visto, ma ho continuato a seguirlo e ad amarlo, col suo gruppo e la musica irlandese. Purtroppo le cassette dell’intervista e del concerto sono perdute. Le foto le ho ancora, da un’altra parte però.

Lui non è mai cambiato.

In deferente ricordo di Paddy Moloney, 1938-2021.