Tutti vogliono diventare giornalisti o pretendono di esserlo, ma nessuno si accorge che pian piano sta venendo a mancare la materia prima: i giornali.

E’ proprio vero che a volte i fatti superano l’immaginazione.
Fino a ieri ci si strappavano le vesti perché da un lato si pensava che ci fosse chi voleva fare i giornali senza i giornalisti (vero!), mentre dall’altro c’erano alcuni i giornalisti che, volendo abolire l’Ordine, in pratica non volevano più essere tali. Poi c’erano quelli, quorum ego, che si lamentavano di come, Ordine o non Ordine, la categoria fosse destinata alla catastrofe perché chiunque, senza prove né esami, poteva, come in effetti può, entrare a farne parte: todos caballeros, secondo un tipico schema mentale egualitaristico italiano. Non mancavano, ed anzi erano e rimangono numerosissimi, coloro i quali ritenevano che invece fare (o essere?) giornalisti fosse un diritto e pertanto reclamavano addirittura “più giornali per tutti”, dando per scontato o implicito che esistesse un Pantalone tenuto a pagarli, e pure a tariffa sindacale, a prescindere da capacità, qualifica, necessità e mercato. C’erano i sostenitori del sindacato “unico” (unico come il partito, ad esempio, concetto che tanto piace ai nostalgici) dei giornalisti e i fautori (sempre quorum ego) del pluralismo sindacale dei medesimi. Non mancavano neppure quelli che predicavano, accanto a quella professionale, anche l’anarchia sindacale.
Insomma, un pollaio. Un pollaio popolato da gente che adesso sta per fare la fine dei capponi di Renzo.
Perché mentre ancora ci si accapiglia, in assoluta assenza di realismo, su ordine, giornalisti, sindacati, stampa eccetera, ci si accorge (naturalmente tardi) anche di un’altra realtà fino a ieri inimmaginabile o inimmaginata, capace di fare tabula rasa di tutte le altre questioni: stanno scomparendo i giornali.
Nel senso che chiudono, innanzitutto. Kaputt. Fine. E allora addio alle rivendicazioni, la libertà di stampa, gli “spazi”, le “opportunità”. Tutti a casa insomma, altro che todos caballeros. Quando invece i giornali non chiudono, cominciano a fare da sé. Cioè si riorganizzano, razionalizzano, economizzano. La rete o la tv rendono inutili le cronache della partite di calcio, delle quali ormai il lunedì mattina si sa tutto, fino alla noia? Bene, visto che le pagine sportive costano, le si riduce. Se non le si riduce, si riduce il lavoro dedicato per redigerle e confezionarle. Una fotonotizia dell’Atalanta che ne busca in casa e tanti saluti ai cronisti, allo “scusa Ameri”, alla ressa nelle tribune stampa degli stadi e alla lotta per gli accrediti. Formazioni e tabellini si prendono dal web o si fanno (giustamente!) il redazione, dove su Sky si può seguire tutto il campionato senza perdere una dichiarazione o un fallo di gioco.
Ecco allora che la realtà supera, appunto, l’immaginazione: stiamo andando verso un mondo in cui siamo – per diritto, ci mancherebbe! – tutti giornalisti. Belli tronfi. Magari muniti di tesserino rosso (quelli verdi, sempre per risibile egualitarismo, li hanno aboliti). Ma senza giornali. Sai che consolazione.