Se l’interesse manca, il tornaconto pure, o se manca il contenitore per raccontarla, una notizia ha lo stesso valore giornalisticamente sacrale di prima? E’ concepibile un ateismo giornalistico?

 

Ma te hai ancora voglia di scrivere?“, mi ha chiesto a bruciapelo la collega.

E io: “Onestamente, no“.

Ovvio che non ci riferissimo allo scrivere in generale, ma a quello professionale. Ossia a quel pungolo, quel “pizzicare di ragno” (cit.), quell’ansia impalpabile che costantemente pervade chi scrive per mestiere. E che va oltre il mestiere stesso, il cinismo, la disillusione di solito abbinati al giornalismo e a quella sorta di incanaglimento romantico di cui esso è imbevuto. E’ qualcosa che affiora e che, nonostante tutto, ogni volta ti induce a fare il tuo lavoro. Ossia, appunto, a scrivere. Per quanto con fatica, a volte con noia, a volte perfino con nausea.

Eppure alla collega – una collega esperta – quella voglia sta cominciando a mancare. E a me pure.

Stamattina, ad esempio, ho letto una cosa. L’ho associata a un’altra che già sapevo, ho fatto 1+1 ed ecco la notizia. Seguono una decina di minuti di approfondimenti, altri dieci di infervorazione, una mezz’ora di soppesamenti e poi la notizia finisce nel cassetto. Non perchè non fosse buona, anzi. Ma perchè ho realizzato, d’improvviso, che non avevo più alcuna voglia di svilupparla in un articolo.

Non credo si tratti solo di un banale fattore anagrafico, come si potrebbe sospettare.

A me del resto, in tutta sincerità, la panzana del “sacro fuocofaceva ridere anche quando avevo trent’anni, figuriamoci ora che ne ho il doppio. Preferivo chiamarla professionalità e associarla a quell’istintivo senso del dovere che per noi si traduce, ripeto, nell’atto della scrittura al cospetto della notizia.

Ma perchè, allora, quella voglia viene sempre meno a un sacco di altri colleghi?

Potrebbe trattarsi di saturazione, di un clic che scatta quando la misura è colma. Oppure di mancanza di sbocchi: se allo scrivere difetta pure la funzione catartica, diventa difficile trovare le motivazioni.

Per quanto mi riguarda, la ragione principale è forse la sensazione che scrivere articoli sia diventato inutile sotto quasi tutti i punti di vista: dell’informazione in sè, della gratificazione economica, dello sforzo richiesto, degli stimoli necessari.

Donde la domanda: se l’interesse alla medesima manca, o se manca il contenitore per raccontarla, una notizia ha lo stesso valore giornalisticamente sacrale di prima? E’ concepibile il sopravvenire di un ateismo giornalistico?

Si apra il dibattito…