La carriera si corre stasera in un’atmosfera irreale. Sul tufo otto soli contendenti e i fantasmi delle due rivali Tartuca e Chiocciola, ritiratesi per l’infortunio del cavallo. Poi i simulacri, letterari, dei sei rioni scomparsi. E con loro, una tantum, gli invisibili vessilliferi di una città in crisi in tutte le sue istituzioni: Comune, Mps, Fondazione, Università.

Sarà l’anno dei Maya. Sarà la crisi. Manca l’Oca, quindi non si può dare la colpa alla maledizione delle “quattro verdi” secondo la quale, quando scendono in lizza tutte insieme le contrade che portano quel colore nell’emblema (ci sono invece Selva, Bruco e Drago), la festa nasce sotto cattivi auspici.
Ma il Palio che tra poche ore si correrà sull’anello di tufo sarà surreale, diverso dal solito, affollato di fantasmi sacri e profani. Forse perfino sacrileghi, in ottica paliesca. Perchè sul campo di Siena (ove “ogni vergogna deposta s’affisse“, come dice Dante) non scenderanno dieci contrade. Ne scenderanno solo otto, dopo che la malasorte ha costretto al forfait due delle più acerrime rivali, Chiocciola e Tartuca, e al tempo stesso diciotto: otto vere e dieci ombre.
Chi la conosce sa che Siena (e in ciò consistono il suo nerbo e il suo limite, la sua forza e la sua debolezza) vive di certezze incrollabili, tutte racchiuse in quel rito autocelebratorio, un po’ messianico e un po’ circense, che è il Palio. L’oppio dei senesi, secondo alcuni. La dimostrazione dell’immortalità della Civitas Virginis, secondo altri.
Un Palio che cade anche nel cinquantunesimo anniversario della morte di Hemingway, senza che nessuno abbia ancora risolto il mistero della presenza o meno dello scrittore alla corsa, e nelle librerie cittadine, l’anno precedente alla sua scomparsa (approfondimenti qui e qui).
Ma è soprattutto un Palio che coincide con una contestualità di situazioni alle quali la città – nel suo insieme, nel suo popolo e nei suoi singoli cittadini – non è minimamente avvezza. Nè preparata.
Con un fragore politico la cui portata non è forse ancora stata del tutto compresa fuori dalle mura, poche settimane fa è caduto il sindaco, sostituito da un commissario governativo. Figura istituzionale a cui i senesi sono d’istinto poco affini, perchè gli ricorda troppo gli odiati governatori medicei e poi lorenesi. La liquidazione dei quali, per effetto del rifluire del Granducato di Toscana nel Regno d’italia, fu festeggiata nel 1861 dotando il palazzo Comunale di uno dei più grandiosi cicli di affreschi risorgimentali della penisola. Nelle mani del commissario è finita la delicatissima fase di organizzazione del Palio, con le sue liturgie simboliche e i suoi significati occulti, nonchè l’altrettanto delicatissima fase di “familiarizzazione” del forestiero con l’arcigno mondo contradaiolo.
Ma si diceva del sindaco, che a Siena non è una figura normale.
E’ il capo del comune che, con la provincia, nomina per statuto la maggioranza dei consiglieri di amministrazione della Fondazione Mps, cassaforte storica della comunità, custode della ricchezza materiale e immateriale dei senesi. Almeno fino a ieri, quando all’improvviso (nonostante molti e sinistri scricchiolii precedenti) si è scoperto che era in crisi e che il titolo della banca controllata, il Monte dei Paschi (terzo istituto di credito italiano, nonchè massimo datore di lavoro della città) era ai minimi storici. Al punto da dover azzerare i vertici e a dover varare, pochi giorni fa, un sanguinoso e contestatissimo piano industriale. Lo stesso era capitato anni prima all’Università. Istituzione antichissima, uscita tramortita dalla crisi e non ancora ripresasi.
Buchi, bilanci, potere, finanza: tutto carsicamente riaffiora, perchè il sindaco è caduto proprio a causa della mancata approvazione del bilancio comunale.
Per indossare la fascia tricolore, aveva rinunciato al mandato parlamentare e ciò fa capire quanto, qui, sia più pesante la poltrona in Palazzo Pubblico rispetto a quella a Montecitorio. Una poltrona i braccioli della quale tornano a intrecciarsi con quelli certo più sicuri e rassicuranti della banca cittadina: da molte legislature, infatti, il sindaco di Siena è anche un dipendente montepaschino.
Ecco, messo a fuoco questo quadro capirete meglio perchè stasera tra i canapi si schiereranno le otto contrade superstiti, poi le sei contrade morte celebrate da Fruttero e Lucentini nel celebre romanzo (“Vipera! Vipera!…“) e al loro fianco i destrieri immaginari, e più o meno scossi, del cosiddetto “Sistema Siena”. A far da spettatori, aspettando di capirci qualcosa, il commissario governativo, il nuovo presidente e il nuovo ad del Mps, il vecchio presidente dell’ente rimasto finora miracolosamente in piedi, qualche vip alle finestre che contano e un popolo stranito, preoccupato, ora piangente e ora festante, rassegnato, smarrito e, in fin dei conti, solo come quello senese.
Quando la nube di polvere si sarà diradata, ci sarà un unico vincitore ufficiale, che riempirà la città del suo giubilo e dei suoi colori. Tutto serve per dimenticare, del resto.
Mentre i fantasmi continueranno a girare in tondo vibrandosi fendenti col nerbo di bue, chissà fino a quando.
Vipera! Vipera!…