La Guardia di Finanza di Siena ha sequestrato giorni fa 8.000 tonnellate di olio “camuffato” da extravergine. Se fosse andato in commercio qualcuno se ne sarebbe accorto? Io credo di no, se non per caso. Perchè i sensi non ingannano, ma…

Martedì scorso ha fatto eco la notizia che la GdF di Siena ha sequestato ottomila tonnellate (8 milioni di kg, quasi l’1% del totale commercializzato in Italia, mica noccioline…) di finto extravergine. Una truffa non solo colossale, ma raffinatissima. Messa in atto cioè con raggiri tanto abili e complessi che solamente un’indagine lunga e approfondita, in gran parte basata su documentazione cartacea e su verifiche incrociate, nonchè avviata molto precocemente dopo alcuni controlli casuali, ha potuto portare alla luce. Altrimenti, con molta probabilità, tutto sarebbe andato liscio. Come l’olio, appunto.
Ed è proprio questo che preoccupa.
Vi rimando alle cronache (ad esempio qui) per i dettagli dell’operazione, che meritano di essere letti perchè rivelano il grado di “professionalità” e di globalità che anche in questo settore ha raggiunto l’industria dell’imbroglio. Basti dire che esistevano vari livelli di taroccamento e varie tipologie di prodotto, realizzati in base all’andamento delle stagioni agronomiche e dei mercati.
Che cosa preoccupa, allora?
Beh, io ero presente alla conferenza stampa e le parole dei militi e degli inquirenti sono state chiare: sotto il profilo chimico e fisico, dopo il taroccamento, l’olio era a posto. Cioè poteva tranquillamente, come è accaduto, essere venduto a terzi imbottigliatori che, in buona fede, avrebbero a loro volta potuto metterlo in commercio con la dicitura “extravergine” sull’etichetta.
Peccato che il prodotto non fosse affatto a posto sotto il profilo organolettico. Fosse, insomma, pessimo. Sottolineo: non mediocre, pessimo. Come è pessima (nè del resto sarebbe possibile altrimenti, visto il prezzo di vendita quasi sempre inferiore di alcune volte al teorico costo di produzione) la pletora di extravergini che si trovano a due soldi sugli scaffali dei supermercati. Intendiamoci, sto parlando di qualità e di gusto, non di tossicità.
Uno allora si chiede: perchè il consumatore li compra e addirittura li ricompra? Ama il risparmio al punto da accettare di alimentarsi con prodotti di nessuna qualità, nessuna piacevolezza, semplici “lubrificanti” da tavola? Oppure, e forse è anche peggio, il suo gusto è talmente corrotto da non accorgersi che un olio è, ben che vada, sgradevole?
La risposta è, probabilmente, sì.
Ma c’è anche un’altra, correlata questione che qualcuno potrebbe porsi: la legge permette di commercializzare come extravergini olii organoletticamente pessimi?
In questo caso, ovviamente, la risposta è no. Se metto in vendita un olio chiamandolo extravergine, mi assumo la responsabilità verso il consumatore della veridicità di quanto affermo. E se affermo il falso, mi macchio del reato di truffa in commercio. Non sono però tenuto a certificare preventivamente, e qui casca l’asino, l’extraverginità del prodotto. Bisogna insomma che qualcuno se ne accorga e me lo contesti.
In teoria sarebbe dunque necessario che certe bottiglie incappassero nei controlli periodici che gli organi statali preposti effettuano sulle merci. E che, nella circostanza, oltre alle analisi chimiche fossero sottoposte anche a quelle organolettiche. Ma non deve succedere spesso, vista la percentuale di olii schifosi che si trovano in giro.
Oppure bisognerebbe che il consumatore, indignato per la qualità scadente dell’extravergine che ha comprato, lo denunciasse (alla Gdf, alla repressione frodi o anche al Cfs), in modo da attivare i controlli a ritroso e le eventuali sanzioni.
Anche questi, però, sembrano frangenti improbabili.
Nella stragrande maggioranza dei casi, la gente compra infatti scegliendo quello che costa meno e, così facendo, inconsapevolmente accetta il rischio (elevatissimo) di essere truffata. Anche se, a tavola, i suoi sensi poi si ribellano. O forse no, vista la radicata diseducazione alla qualità (e al suo valore, anche economico) che connota la società di massa.
Rassegniamoci.
Ci sarebbe da aprire un inquietante capitolo su come sia possibile che, anche in caso di olii dop o igp (per i quali la certificazione della qualità organolettica è invece obbligatoria e preventiva attraverso il ricorso ai panel test), si possano trovare bottiglie con extravergini palesemente difettati. E che, talvolta, capiti di assaggiare, e bocciare, prodotti scadenti passati però indenni al vaglio di altre commissioni.
Un altro mistero glorioso.
A dimostrazione che le vie dell’olio sono infinite. E parecchio viscide.
Ma, comunque stiano le cose, la morale resta la stessa: spetta al consumatore autotutelarsi evitando di acquistare roba che sa di truffa lontano un miglio. Perchè altrimenti, se la gente continua a comprare i beveroni scioglipancia, alla fine dà ragione a Wanna Marchi.