Ovviamente mi riferisco nel primo caso all’evento vinicolo in corso a Siena e nel secondo al tipo di cavalli che, per regolamento, sono ammessi a correre il Palio. Con qualche considerazione incrociata sul terzo, ovvero la defunta Enoteca Italiana.
Sangiovese Purosangue è una manifestazione per appassionati di vino che è in corso a Siena.
Una come ce ne sono tante.
Anzi no.
Non solo perchè, ma in questo non è certo la sola in Italia, riesce ad equilibrare bene divulgazione e specializzazione, momenti tecnici e momenti conviviali.
Ha poi il merito (anche questo non solitario, ma innegabile) di aver scelto un fil rouge forte come il Sangiovese, vitigno ruvido, toscano-non-toscano, molto citato e spesso non altrettanto conosciuto. Ieri ad esempio, se fossi stato in salute, avrei avuto la possibilità di assaggiarmi 201 vini a base di Sangiovese. Non solo delle solite e arcinote zone o delle solite e arcinote aziende, ma anche di piccoli produttori o di aree decisamente periferiche in quanto a celebrità sangiovesiana, come Chiusi o il Casentino o il Perugino.
Affianca inoltre i convegni per addetti ai lavori (bello invero quello tra cru e corrispondenza suoli-vini) ad altri decisamente eccentrici, tipo uno di oggi pomeriggio con un titolo che è un programma: “I difetti e le virtù – La percezione positiva del brett e della volatile, la sua valutazione estetica“. Sono certo che chi potrà andarci non uscirà deluso.
C’è poi un contorno di verticali di grandi nomi, banchi di degustazione e un faccia a faccia dialettico tra il Sangiovese di Romagna (Brisighella) e di Toscana (Montalcino).
Ma dunque cos’ha di speciale Sangiovese Purosangue?
Direi due cose.
La prima è che non è una manifestazione chiassosa. Non solo in senso strettamente acustico. E’ sobria, seria, non millanta, non strepita e tende a restare, come si dice, “nel solco”. Cosa non frequente, ve lo dice uno che di eventi similari ne bazzica parecchi in tutta Italia.
La seconda è che si svolge a Siena. Città difficilissima, ostica, contorta, tortuosa, in piena crisi d’identità e di indirizzi. Una città che ha visto e ancora vede sbriciolarsi le non bazzecolari certezze costruite con pazienza tutta provinciale nei secoli. E non parlo solo di Mps. Parlo di un appeal turistico dissoltosi per eccesso di mungitura. Parlo di un hardware istituzionale andato in frantumi (era la “capitale” della Toscana meridionale, ora sembra diventata una periferia di Grosseto) e di un orgoglio identitario che, a singulti, oscilla tra le velleità di una rabbiosa rivalsa e la depressione per una dignità perduta forse per sempre.
Ci pensavo ieri assaggiando i vini sotto le volte della Fortezza Medicea. Che però, per tutti a Siena, è l’Enoteca Italiana. Un ente antico (nacque nel 1933, anche se molti fanno finta che sia successo dopo) che, negli anni buoni, quelli in cui il vino italiano conobbe il grande boom postmetanolo, ebbe in sè un potenziale enorme per trasformare la città in un vero capoluogo vinicolo nazionale. Ma ciò non accadde, perchè l’Enoteca non fu mai realmente capace, o forse non si volle che lo fosse, di dare il necessario colpo d’ala.
Non sto qui a rivangare il rosario delle colpe e delle responsabilità. Dico solo che l’ente fu sempre e comunque prima un ingranaggio del sistema-Siena e solo poi uno strumento di valorizzazione e di promozione, con tante buone idee o iniziative rimaste impantanate nelle paludi partitiche.
Ora accade però che l’Enoteca sia stata chiusa proprio pochi giorni fa, alla vigilia di Sangiovese Purosangue. Troppi debiti, gestione insostenibile. Su come e perchè, o meglio sulla base di quali inefficienze siano nati questi debiti, ce ne sarebbe da dire, ma non lo farò.
Ormai è inutile.
Ma riflettere su tutto questo tra i bastioni di mattoni, le architetture possenti che facevano sembrare incrollabile anche ciò che c’era dentro, fa un certo effetto.
E se il Sangiovese è purosangue e in piazza continuano a galoppare (non senza qualche inciampo) i mezzosangue, l’Enoteca ha fatto la fine di un ronzino.
Alla salute!