“La Corte” Chianti Classico Gran Selezione Castello di Querceto docg 2018: parte un po’ ingessato, ma poi si distende come Pietro nei 200 metri olimpici d’oro a Mosca 1980.

 

Non sono un maleducato e nemmeno un menefreghista, sono solo uno a cui – quando è possibile, in questo lavoraccio – piace avere i propri tempi, per essere sicuro della giusta disposizione d’animo e di giudizi ponderati, approfonditi e seri.

Il pistolotto serve a giustificare e a spiegare perchè solo ieri mi sia accinto ad assaggiare questo vino, che aspettava in cantina da diversi mesi. Mesi i quali, lo dico espressamente, credo gli abbiano giovato.

Come noto, in generale non sono un fan della tipologia Gran Selezione, il vertice qualitativo del Chianti Classico che spesso, ma non sempre si capisce, trovo un tantino ipertrofica e tagliata sulla clientela internazionale, senza quella desiderabile vibrazione, de gustibus non disputandum est (“sui gusti non ci si sputa“, diceva un tipo tra il serio e il faceto), capace di rendere golosi i grandi Gallo Nero.

Proprio per questa ragione, ogni anno alla Collection riservo grande attenzione alle GS e le assaggio tutte: desidero essere aggiornato sulla loro espansione produttiva e sulla loro evoluzione stilistica.

“La Corte” Chianti Classico Gran Selezione Castello di Querceto docg 2018 nasce da un unico vigneto di Sangiovese in alta collina, comune di Greve in Chianti. Un cru, in pratica, che dal 1978 al 2016 è stato utilizzato per produrre un IGT.

Il colore, un rubino profondo e caldo, è conforme alle aspettative. Anche l’olfatto, appena aperta la bottiglia, un po’ lo era, con note dense e marcate di frutti rossi maturi, accenni di ciliegia sotto spirito, echi balsamici e qualcosa di riconducibile alle barrique e ai tonneaux in cui era rimasto a maturare dodici mesi. Al sorso confermava la grande struttura, tannini equilibrati ma con un retrogusto amarognolo non del tutto convincente.

Ho lasciato il vino respirare una decina di minuti ed è cambiata la musica.

La ciliegia si è asciugata, è affiorata la viola ed è emerso un Sangiovese potente, esplicito, senza spigoli ma quasi croccante, su cui la balsamicità aleggiava, sobillando i sensi. Anche in bocca La Corte si è completamente disteso, quasi spaparanzato si potrebbe dire, se ciò non potesse indurre a pensare a una mancanza di eleganza che invece, con l’equilibrio, si rivela alla fine il punto forte di questo vino quantomai gastronomico e godibile.

Non a caso la bottiglia è finita in un amen ed è un peccato, perchè si sarebbe prestata anche ad accompagnare la successiva conversazione.

Un vino rassicurante, in tutte le accezioni.

 

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