…ovvero dalla frustrazione di avere notizie e non poterle pubblicare perchè – tra sinecure, omissioni, miopie, gratuità presunte e hobbismo – il sistema s’inceppa e la professione giornalistica va a ramengo.

 

Il surreale esiste e nel nostro mestiere è oggi una cosa quotidiana.
Ne faccio un esempio pratico e palpitante.
Hai per le mani una notizia ghiotta, con un doppio vantaggio competitivo: sei il solo ad averla e sei l’unico con le nozioni, i contatti, il pregresso per verificarla, approfondirla e sviscerarla velocemente al suo massimo.
Non solo.

C’è pure chi ha tutto il legittimo e perfino pubblico interesse che la notizia sia diffusa presto, bene e nei modi corretti. Anzi: in fondo non chiede di meglio che trovare un cronista in grado di farlo, cioè te. E quindi si dice disposto a darti una mano.
Ancora: hai un direttore sveglio che coglie al volo la portata della notizia, ti dà mano libera nel trattarla e perfino ti sollecita un ampio servizio.
In pratica sarebbe la situazione ideale nella quale un qualunque giornalista sogna normalmente di trovarsi.
E invece no.
Chi ha il teorico e direi perfino istituzionale interesse ad andare sui giornali, non capisce del tutto le tue esigenze di accuratezza, verifica e approfondimento, quindi va per le lunghe, si offre di collaborare ma poi di fatto non collabora e crede di poter tenere tutto sospeso indefinitamente (a che scopo è un mistero o forse non c’è nessuno scopo, è solo indolenza), quindi la cosa si trascina per settimane, con crescente nervosismo tuo e progressiva perdita di attualità della notizia.
Da parte tua, per ragioni uguali e contrarie, hai da un lato necessità di stringere, perché le notizie scadono o alla fine te le rubano, dall’altro il tuo è un lavoro, non è un hobby, e quindi non puoi dedicare energie all’infinito a un progetto che non va mai in porto, oltretutto col rischio che il committente si stanchi o cambi idea.
Il committente stesso, del resto, ti sollecita a parole ma nei fatti rischia poco o nulla: non scuce un soldo in anticipo, non offre sostegni pratici, scarica addosso a te tutti gli oneri di ideazione, ricerca, produzione e spese a fronte di un compenso vago e mai prestabilito. Praticamente si aspetta che anticipi tempo e denaro senza sapere se e quando rientrerai dell’investimento compiuto.
Dopo un po’ di questo andazzo, quindi, ti scocci e valuti se “autopubblicare” la notizia, cioè di fare da solo coi mezzi che hai: tipo questa blogzine che state leggendo, per capirci. Sarebbe tutto molto più facile, diretto, senza condizionamenti e magari pure gratificante.

Ma, a parte lo spreco di non dare alla notizia il più vasto palcoscenico che meriterebbe (e che fa “pizzicare” il tuo istintivo senso della professione), ti chiedi: perché? Cioè: perché dovrei “regalare” al pubblico (che ovviamente non è fatto solo di miei affezionati lettori, a cui dono volentieri, ma di gente che poi rilancia, scopiazza, riprende), pubblicandola gratis, una notizia che non solo ha un suo valore intrinseco, ma che a me è costata tempo e denaro? In nome di cosa, forse di un malinteso senso della deontologia e del dovere di informare?
Morale della favola: a forza di traccheggiare all’infinito non esce nulla da nessuna parte e tutto sfuma.
E tu come al solito ti ritrovi semplicemente schiacciato nella frustrante tenaglia del tuo mestiere.