Ci abbiamo messo abbondantemente del nostro, ma è difficile non rallegrarsi quando qualcuno prova e riequilibrare il difficile rapporto tra opinione e informazione. Magari ricordando che esiste la professionalità.

Tu chiamale, se vuoi, coincidenze.
Ieri mi scrive un collega, rammaricandosi degli insulti subiti in rete da tifosi e congiunti dell’interessato per aver criticato le prestazioni di uno sportivo. Ora invece leggo sul profilo FB di Enzo Iacopino, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, del suo compiacimento (da me condiviso) perchè un giudice non solo ha respinto le pretese di risarcimento, palesemente intimidatorie per l’entità della somma richiesta, di una società nei confronti di un giornalista e del suo giornale dopo un articolo “sgradito“, ma l’ha condannata alle spese processuali e al pagamento di 18mila euro per il danno provocato alla controparte, “in conseguenza dell’ansia e del turbamento inflitti, in ogni caso in quanto si è chiamati a difendersi, ma in particolare nel caso in cui è messa in discussione la propria professionalità“.
C’è un filo nemmeno tanto sottile che unisce questi due fatti apparentemente lontani.
E’ appunto il richiamo alla nozione della professionalità.
Checchè se ne dica e se ne pensi, il giornalista, nell’obbligo di dire il vero, non solo ha il diritto di informare ma ha la funzione di farlo. La legge cioè attribuisce a lui – imponendogli l’appartenenza a un ordine professionale e alle cogenti norme deontologiche che ne conseguono, sul rispetto delle quali esso è tenuto a vigilare – un ruolo pubblico.
In altre parole, il giornalista non informa per passione, o per vocazione, per interesse, ma per dovere e per lavoro.
In ciò consiste la sua professionalità, della quale risponde sia alla propria coscienza che all’ordinamento.
Qualcuno, con un sorrisetto, mi dirà che è teoria.
Certo che è teoria.
Anche il codice penale e quello della strada sono teoria: danno prescrizioni che il cittadino è tenuto a rispettare e sul rispetto del quale le autorità devono vigilare, irrogando nel caso le sanzioni previste dalle norme medesime.
Ma a troppi sfugge la differenza tra l’opinione e l’informazione. E in troppi prevale la convinzione che la prima sia legittimata a fare pressione sulla seconda fino a orientarla e a orientare perfino la verità, ristabilendola in modo diverso.
Non sto dicendo, è ovvio, che i giornalisti abbiano la verità in tasca. Loro, la verità, la devono prima cercare e poi riferire, con il massimo scrupolo. Ed è un lavoraccio.
L’idea però che in questa difficile ricerca tutto abbia il medesimo diritto di cittadinanza è profondamente errata.
Esistono pesi diversi a cui corrispondono, come è giusto, livelli di responsabilità diversi.
L’opinione di un giornalista – quella che poi, messa nero su bianco, diventa informazione – ha un peso elevato, perchè essa è l’estrinsecazione di una funzione pubblicamente riconosciuta e professionalmente regolamentata. Quindi dev’essere suffragata da terzietà, controllo delle fonti, verifiche, ricchezza di elementi di valutazione e di punti di vista. Dev’essere scevra da estremismi anche verbali, intemperanze e pregiudizi. E accompagnata dalla consapevolezza della responsabilità che appunto deriva da questi doveri e da quella funzione.
Nessuna pietà, quindi (vedi qui e ancor più qui), per quei giornalisti che abusano del loro ruolo o che maliziosamente ne approfittano per lucrare vantaggi, tornaconti, false verità. E nessuno sconto.
Ma niente sconti anche per chi pensa di poter aizzare il linciaggio mediatico o la mannaia giudiziaria mettendo su una bilancia truccata la propria pur legittima opinione personale contro quella di chi opinioni non esprime, ma ha il diritto/dovere di informare. Anche quando ciò comporti riportare, opportunamente soppesati e verificati, il pensiero proprio e altrui.
Tradotto in termini semplici, si chiama libertà di stampa. Cioè informazione nel rispetto della professionalità e della correttezza. In parole ancora più semplici, il bar sport e gli interessi di un’azienda sono una cosa, il giornalismo un’altra.
I pasionari della rete, gli amanti del cicaleccio e i prestigiatori della carta bollata se ne facciano una ragione.