I freelance? Non esistono. Se esistono, non sappiano bene cosa sono. E in ogni caso rappresentano un problema minore, anzi infinitesimale, nel calderone del giornalismo italiano. Parola di una commissione del sindacato dei giornalisti. Quale? Quella che si chiama “lavoro autonomo”. Evviva.

Di essere figli di un sindacato minore ce n’eravamo accorti da un pezzo. Figliastri, addirittura. O forse bastardi. Se non peggio. Ma, nonostante i mille espliciti precedenti, sentirselo dire proprio in faccia non è piacevole. Eppure è accaduto. Ieri. Dove? Nella Sala delle Feste (sorvoliamo sulle inevitabili ironie) di Palazzo Bastogi a Firenze, sede del Consiglio Regionale della Toscana. Occasione: la tappa toscana della “Commissione nazionale lavoro autonomo” dell’Fnsi, rappresentata dal suo presidente (nonché vicesegretario della Federazione) Enrico Ferri. Scopo: “Fare il punto sulla situazione nella regione, per informare sui nuovi strumenti per la stabilizzazione che si stanno mettendo a punto, per mettere a confronto i colleghi del lavoro autonomo con i comitati e i fiduciari di redazione”.
Ebbene, la sintesi della riunione è questa: non solo il sindacato continua a confondere i precari coi liberi professionisti ma questi ultimi, perfino agli occhi di una specifica commissione dello stesso che di autodefinisce “lavoro autonomo”, in pratica non esistono. Non abbastanza almeno da essere oggetto di interesse, o di conoscenza, o di tutela. La commissione ha altro a cui pensare: i precari, gli abusivi a vario titolo. Noi siamo soggetti residuali, figure sfuocate sullo sfondo, il cui profilo resta addirittura incerto. Olè.
Dura la vita, insomma, per i liberi professionisti dell’informazione. Quelli veri, intendo. Di coloro, cioè, che la libera professione la esercitano fin dall’inizio per scelta e non per ripiego. Di coloro, ancora, che di essa integrano tutti i criteri formali e sostanziali: ne ricavano un reddito effettivo (di cui campano) e non apparente, operano con una molteplicità di committenti, svolgono il loro lavoro sulla base di un’autorganizzazione realmente autonoma. Tutt’altra cosa insomma dei moltissimi che nel giornalismo agiscono da freelance per necessità, come dipendenti camuffati, costretti ad aprire la partita iva dall’unico giornale per il quale lavorano e dal quale forse sperano, in futuro, di essere assunti. E che, in generale, legittimamente aspirano a un posto da giornalisti contrattualizzati.
Sia chiaro: quello del precariato è un nodo importante, come lo è quello delle “false partite iva” che inquinano (vedi il mio post e le parole di Pietro Ichino qui) il nostro sistema, ma da un sindacato sedicente “della stampa italiana” e da una commissione che di chiama “lavoro autonomo” qualche attenzione ce la aspetteremmo.
Invece no. Continuano ad arrivare genuina ignoranza, ostentata indifferenza e affermazioni di comicità involontaria. In due ore di conferenza, l’unico accenno ai nostri problemi venuto dalla bocca del pur facondo Ferri (un ex contrattualizzato del Gazzettino di Venezia ed oggi, anche, delegato per l’Unione Nazionale Pensionati: quindi – crediamo – non un grande esperto in materia di libera professione giornalistica) è stato testualmente che “il vero nodo sono le tariffe, ma è un problema legale da agganciare alla questione del giusto compenso ex articolo 36 della Costituzione. Quindi, da 20 (venti! ndr) euro a pezzo in su. Noi ce le occupiamo quando i giornalisti in contenzioso ci vengono a chiedere il giudizio di congruità”. Surreale. Dopo il decreto Bersani, infatti, il famoso “tariffario”, peraltro altamente inaffidabile, non esiste più. Lo teneva l’Ordine e non l’Fnsi. E soprattutto, proprio a causa della totale ignoranza dei colleghi in materia di mercato e di lavoro autonomo, la cosiddetta “bollatura” di congruità rilasciata dall’OdG sui compensi richiesti dai giornalisti, a cui si riferiva Enrico Ferri, si ritorceva contro agli associati, in quanto puntualmente giudicata “troppo elevata” in base allo stralunato tariffario ordinistico. Per non dire della ribadita e tragicomica convinzione che il lavoro dei freelance sia quello di scrivere i pezzi a cottimo per i quotidiani, come se i periodici, le inchieste, i reportage, i grandi servizi con i problemi, i rischi e i costi che essi comportano non esistessero.
Insomma: quello dei freelance è un arcipelago complesso e articolato del quale il sindacato ignora tutto.
Ecco, alla luce di questo e allo stato di coma ormai quasi irreversibile della nostra sottocategoria, nonchè di totale oblio sindacale, mi chiedo se all’assise fiorentina del 7 e 8 ottobre prossimi, dedicata all’elaborazione di una “carta” (la “Carta di Firenze”) a difesa della dignità dei giornalisti, non sarà il caso di affrontare, oltre al tema dei rapporto tra colleghi contrattualizzati e non, ma anche quello del rapporto tra i giornalisti e il loro (presunto, almeno nel nostro caso) sindacato.