Nell’infornata lottizzatoria di giornalisti per il nuovo cda Rai (Mazzucca, Diaconale, Maggioni) spicca il nome dell’ex segretario, Fnsi Franco Siddi, su cui si scatenano le ironie dei colleghi. Alle quali però, un po’ a sorpresa, non mi accodo al 100%.

Come ho detto spesso non ho nulla di personale contro Franco Siddi, che conosco da molti anni.
Ce l’ho solo con l’Fnsi e con ciò che, in Fnsi, lui e tutti i suoi predecessori (l’ultimo successore si è insediato da troppo poco per essere valutato, ma l’aria che tira è la solita al di là delle consuete simulazioni) hanno fatto, non hanno fatto e hanno finto di fare per la categoria di giornalisti alla quale appartengo: quella dei liberi professionisti.
Per capirci: vero è che Siddi e la sua giunta coraggiosa anzichè fuggire a Brindisi si nascosero disonorevolmente dietro la tremula tendina (qui) il 7 luglio del 2014, quando gli autonomi (quorum ego) premevano al portone della Federazione per protestare contro il contratto truffa e la farsa dell’equo compenso.
Ma bisogna anche riconoscere che, durante il suo lungo pontificato, nemmeno Paolo Serventi Longhi (oggi vicepresidente vicario dell’INPGI, carrierona anche lui) fece per noi molto più di Siddi. Nel senso che procurò ai giornalisti italiani gli stessi, miopi danni, dell’altro, solo lasciando che i nodi venissero al pettine dopo, a rilascio lento. E non dimentico che, sulla questione freelance, nel 1998 fu proprio Serventi a ridermi in faccia per primo, sempre al fresco delle umbratili stanze di Corso Vittorio.
Insomma, parrà sorprendente eppure oggi non mi unirò al coro di chi si indigna per l’ascesa di Franco Siddi alla stanza dei bottoni radiotelevisivi nazionali.
Che l’uomo studiasse da politico, del resto, si sapeva da un pezzo. Che avesse simpatie, sebbene ondivaghe come si addice a un navigatore di lungo corso, per la sponda renziana, idem. Per lui l’anno scorso si vagheggiava non a caso un posto in Parlamento, ma siccome la caduta del terzo premier consecutivo non nominato dal popolo pare allontanarsi, ecco giungergli calda calda, è il caso di dirlo visto il clima, la poltrona di consigliere di amministrazione della Rai. Coerenza perfetta con il sistema lottizzatorio di cui fa parte. Dove starebbe la novità?
Franco Siddi  poi è un tipo avveduto, esperto e disincantato. In un certo senso, in quel posto ci sta da Dio se pensiamo in termini di continuità metodologica.
In un certo senso, appunto.
Sotto altri, ad esempio sotto quello del suo proverbialmente torrenziale eloquio, sono un po’ meno tranquillo. E prevedo accampamenti, thermos di caffè e notti insonni dell’esecutivo in attesa che il facondo consigliere sardo abbia concluso i suoi interminabili speech, che nemmeno Cicciomessere al tempo del filibustering parlamentare.
Sapranno il nostro e i tre colleghi (Arturo Diaconale, Giancarlo Mazzucca e la presidente Monica Maggioni: 4 su 10 e potevano essere 5 se fosse entrato anche De Bortoli) divenuti con lui membri del cda, portare una qualche acqua al mulino della buona informazione nel servizio pubblico?
Qualcosa mi dice che avranno priorità diverse da questa, ma non è detto che non sapranno operare.
Sarà interessante, casomai, vedere che spazio e che rilievo la nuova Rai di Siddi & co. darà alle rivendicazioni giornalistiche, capire se e quanto la condivisione delle radici sindacali manterrà vicini Siddi e Lorusso al di là delle apparenze correntizie e quali saranno gli scambi di amorosi sensi e rancori tra un cda giornalisticizzato e l’Usigrai.
Insomma, siamo certi che anche a Viale Mazzini Franco Siddi saprà a modo suo farci divertire.
In fondo anche il sarcasmo è una forma di divertimento.