di EMANUELE PELLUCCI
E’ mancato Piero Palmucci, fondatore di Poggio di Sotto e per vent’anni figura centrale del Brunello di Montalcino. Ce lo racconta il decano dei enogiornalisti toscani e forse il primo ad averlo conosciuto a metà anni ’80, quando tutto era in nuce.

 

Non sono mai stato bravo a dispensare consigli, ma almeno in due casi posso dire di averci visto giusto. Il primo riguarda un amico, Francesco Ricchi, figlio di ristoratori fiorentini col quale da ragazzo giocavo a pallone. L’avevo perso di vista e lui, dopo tanti anni, mi telefona: “Ciao Emanuele, so che ti occupi di enogastronomia e avrei da chiederti un parere. Sto pensando infatti di aprire un ristorante di cucina toscana negli Usa, pensi sia una buona idea?”. La mia risposta non poteva essere che affermativa. Lui non si fa più vivo, ma dopo un po’ mio cugino, di ritorno da Washington, mi dice di essere stato a cena da “I Ricchi”, locale frequentato anche dal Presidente degli Stati Uniti. Era quello di Francesco!

Questo lungo preambolo per introdurre la storia del secondo consiglio che ho elargito con successo. Protagonista Piero Palmucci, toscano di Castiglione della Pescaia trapiantato per lavoro in Svezia dopo aver girato mezzo mondo, ma con l’idea fissa di realizzare qualcosa di importante nella sua regione. L’età avanzata non era per lui un ostacolo. E così, negli anni ’80 del Rinascimento del vino italiano, eccolo investire a Montalcino, dove da ragazzo aveva abitato con la famiglia e aveva frequentato le scuole medie.

Anche stavolta mi arriva una telefonata: “Buongiorno dottor Pellucci, non ci conosciamo. Mi chiamo Piero Palmucci, di recente ho acquistato il suo libro sul Brunello di Montalcino perché sarei interessato a comprare un podere in quella zona per farci vino. Saprebbe darmi qualche consiglio?“.

A distanza di così tanti anni non ricordo quali consigli detti a Palmucci. Ma probabilmente ne fece tesoro se, nel 1989, decise di acquistare Poggio di Sotto nella zona di Castelnuovo dell’Abate. Per qualche anno non ebbi più occasione di sentirlo, finché un giorno squillò ancora il telefono: “Dottor Pellucci, si ricorda di me? Ebbene, alla fine ho comprato a Montalcino e poiché ho pronta la prima annata di Brunello, vendemmia 1991, avrei piacere che venisse a trovarmi per fargliela assaggiare“.

Per diventare vignaiolo Palmucci dovette partire da zero, fare pratica nel vigneto e in cantina di alcune aziende di Montalcino e soprattutto affidarsi a due tecnici di valore come il professor Lucio Brancadoro e l’assaggiatore Giulio Gambelli, il celebre ”bicchierino”, uno degli artefici dei migliori vini rossi toscani. Alla fine Palmucci fu così bravo da ottenere ciò che voleva dal suo piccolo vigneto (2,5 ettari all’inizio poi ampliati fino a 12 ettari).

La prima annata prodotta, definiamola pure sperimentale perché non in commercio (la 1991 appunto), esprimeva già una qualità di alto livello. Un Brunello, che quando andai la prima volta a Poggio di Sotto a conoscere personalmente Piero Palmucci, trovai subito straordinario, di grande eleganza, per niente aggressivo e che mi ricordava certi vini degli anni ’70 che non sto qui a citare, ma che per me erano la quintessenza del Brunello. La prima annata in commercio è stata la vendemmia 1993 e subito il vino di Palmucci, nonostante l’elevato prezzo di vendita che all’inizio lasciò perplesso pure il sottoscritto, fu valutato dalla critica tra i migliori Brunello in assoluto. Da allora Poggio di Sotto è diventata una delle etichette più prestigiose del panorama vinicolo toscano e italiano.

Nel 2011, deciso ad andare davvero in pensione, Palmucci cede l’azienda al gruppo ColleMassari e si ritira nella sua Castiglione della Pescaia dove la morte lo trova lo scorso 20 luglio. Con lui, persona gentile, simpatica, sempre sorridente oltre che capace in tutte le attività nelle quali si è impegnato, se ne va un altro protagonista del successo del Brunello di Montalcino nel mondo.

Quando ho saputo la notizia sono andato a grufolare in cantina: quello che ho trovato è ciò che vedete in foto. L’annata è scritta a pennarello, come in tutti i vini “di prova”.