L’Inpgi passa all’Inps, ma (nel disinteresse di tutti, salvo i diretti interessati) il sanissimo ente degli autonomi, l’Inpgi2, rimane in piedi. Dovrà darsi però un nuovo statuto e poi nuovi vertici. Un’occasione di riassetto unica. Anche troppo.

 

Mentre, com’era inevitabile, sulla tomba del caro (per i contribuenti) estinto, ovvero l’Inpgi ora trapassato nell’Inps, infuria la polemica correntizio-sindacale per stabilire di chi sia stata la colpa del disastro, i rischi che si profilano sono almeno due.

Il primo è che, in quanto frutto di una lotta di potere intestina, il battibecco faccia focalizzare l’attenzione sulle scorie del passato, anzichè sulla riprogrammazione previdenziale del futuro.

E il secondo è che – soprattutto, per quanto mi riguarda – la chiusura del cerchio metta in ombra l’altro elemento davvero attualissimo della penosa questione: ovvero il destino dell’Inpgi2, la cassa dei giornalisti cosiddetti autonomi. Ovverosia, lo dico per i non addetti ai lavori e per i colleghi cronicamente ignari di se stessi, di quelle decine di migliaia di iscritti all’Odg che, sotto varie sottotipologie qui lunghe da elencare e ancora più da circoscrivere, svolgono la professione in un regime diverso dal lavoro subordinato.

Anzi, a essere precisi non del tutto: perchè oggi passano per autonomi e quindi sono soggetti all’Inpgi2 anche i circa tremila, dicono le statistiche, giornalisti che, detentori di una falsa partita iva o di falsi contratti di collaborazione, lavorano in forma sostanzialmente ancorchè non formalmente subordinata.

La categoria degli autonomi e quindi l’ente che previdenzialmente li rappresenta sono insomma un calderone ove ricadono tutte le professionalità residuali del mondo dell’informazione.

Peccato che esse producano anche il 70% di quanto quotidianamente pubblicato in Italia.

Questo dunque è il quadro generale.

Ecco: a costoro il citatissimo articolo 28 della LB2021, quello cioè che sancisce il passaggio dell’Inpgi all’Inps,  dedica, bontà sua, poche ma importantissime righe. Al comma 14:

Entro il 30 giugno 2022, l’INPGI provvede, con autonome deliberazioni soggette ad approvazione ministeriale […] alla modifica dello statuto e dei regolamenti interni […] ai fini dell’adeguamento alla funzione di ente di previdenza e assistenza dei giornalisti professionisti e pubblicisti che svolgono attività autonoma di libera professione giornalistica, anche sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa. Entro quindici giorni dalla data di approvazione dello statuto da parte dei Ministeri vigilanti, sono indette le elezioni per il rinnovo degli organi dell’Istituto. Tali organi entrano in carica in data successiva a quella di approvazione da parte dei Ministeri vigilanti della delibera di trasferimento delle risorse strumentali e finanziarie, di cui di cui al comma 13“.

Traduzione:

  • L’Inpgi ha otto mesi per modificare lo statuto e tramutarsi in ente di previdenza dei soli autonomi.
  • Entro 15 giorni dall’approvazione ministeriale dello statuto vanno eletti i nuovi vertici.

Quanto sopra mi pare avere una serie di implicazioni fondamentalissime:

  1. E’ ovvio, e se non lo fosse deve diventarlo, che agli autonomi, in tutte le loro declinazioni, dovrà essere attribuito da subito un ruolo attivo, cioè non solo propositivo-consultivo e di supervisione, ma pure decisionale, attraverso gli opportuni coinvolgimenti, sui lavori di adeguamento statutario, visto che si parla del “loro” ente, dei loro soldi e della loro previdenza;
  2. La “quota giornalistica” dei vertici della nuova Inpgi, ex Inpgi 2, dovrà essere costituita esclusivamente da autonomi;
  3. La scelta della nuova dirigenza dovrà avvenire garantendo in qualche modo un’elezione diretta e in alcun caso demandabile a terzi, men che meno al burattinaio federale, anche per la solare ragione che il sindacato non ha mai rappresentato e oggi ancora meno rappresenta la categoria degli autonomi con le sue subcategorie (basta in proposito spulciare le percentuali).

Si apre quindi uno scenario tutto da inventare ove, forse per la prima volta, come giornalisti autonomi abbiamo la possibilità, se ben organizzati e senza concedere “deleghe” o subire tutele forzose, di esercitare una sorta di nostra coautodeterminazione previdenziale.

La quale potrebbe addirittura costituire il germe di una autorifondazione sindacale, calibrata finalmente sui nostri e soli interessi professionali.

Ecco perchè il (volutamente?) molto sfumato caso Inpgi2 è già adesso, e sempre più sarà, una questione politica.

Cave canem!