Illuminante “esplorazione” del Lsdi nella “giungla” dei servizi editoriali on line. Un mondo dove il termine “giornalista” viene furbescamente sostituito con “articolista” e dove si ragiona di “articoli” (virgolette d’obbligo) compensati 0,50 euro l’uno (50 centesimi, insomma). Ma la cosa più strabiliante è il tenore dei commenti dei visitatori del forum, rivelatore dell’esistenza dei tanti che trovano tutto ciò “normale”.

Il sottoscritto l’aveva già denunciato su questo blog (qui) da un pezzo, coinvolgendo sia il mondo della rete che della carta stampata. Ora, però, Lsdi (Libertà di stampa, diritto all’informazione), il gruppo di colleghi che indaga sui “giornalismi possibili”, ha “perlustrato” con accuratezza “la giungla della ‘compravendita di servizi editoriali’ per il web in Italia, scoprendo prima di tutto che la parola ‘giornalista’ è stata ormai sostituita da quella di ‘articolista’. Questo primo sguardo fra le pieghe dell’industria della produzione di contenuti (a parte l’ enclave delle redazioni delle testate tradizionali) dimostra chiaramente che essa si basa su un massiccio sfruttamento del lavoro di centinaia o forse migliaia di artigiani del web content, manovali dell’informazione non pagati o sottopagati, che accettano, od offrono, pacchetti di articoli nella speranza che la Rete prima o poi li compensi.
La lettura del servizio (qui) è altamente istruttiva e vi rimando ad esso per scoprirne i contenuti.
Riporto direttamente qui sotto, invece, il commento che ho postato sul forum.
Sarei curioso di conoscere, in proposito, l’opinione di colleghi e lettori.

Mah, a leggere certi commenti c’è da restare senza parole. Sembra invalsa la convinzione (in tutti, compresi molti colleghi) che per essere giornalisti basti autoproclamarsi tali e che, pertanto, per lavorare nel mercato dell’informazione basti entrare a casaccio nel medesimo e ritagliarsi uno spazio qualsivoglia.
Eh, no. C’è un ordine (lasciamone perdere le sue – e grandi – magagne interne, che però sono un’altra questione) al quale bisogna essere iscritti. E per iscriversi bisogna, in teoria, aver dimostrato l’acquisizione di una certa capacità professionale, nonchè l’accollo di precise regole e responsabilità deontologiche. No ordine? No giornalista, insomma. Ne consegue che non può essere chiamato tale, nè pagato da tale, chi non è iscritto all’OdG. Oppure apparirebbe normale se io, da un giorno all’altro, affiggessi sul portone la targhetta “medico chirurgo” e mi mettessi a curare la gente, pretendendo pure di applicare le tariffe degli iscritti all’Ordine dei Medici?
Detto questo, come ho infinite volte scritto sul mio blog: ma se uno accetta di farsi pagare 0,30 euro (o 1 euro, o 10, o 25…) a pezzo è uno sfruttato o un coglione? Secondo me un coglione. Glielo ha ordinato il dottore di fare lo (pseudo)giornalista? Non è infinitamente più decoroso, oltre che remunerativo, dare ripetizioni di italiano, fare le pulizie, scaricare la frutta a 8 euro l’ora invece che a 1 euro a pezzo? Quindi, se uno accetta certe condizioni, di che si lamenta poi? E di che ci lamentiamo noi se accettiamo di chiamare informazione una poltiglia di notizie messe insieme a caso, senza alcuna professionalità, da chi, per la sola voluttà di sentirsi chiamare e/o di spacciarsi giornalista, è masochisticamente disposto a lavorare gratis?
Finchè non usciremo da questa ipocrisia di fondo non ci sarà futuro per nessuno: nè per i giornalisti veri, nè per quelli falsi
“.