Frankie Lee, Willie Nile Band, CSRF 2010. foto di Nicola Grassi.

Anche a distanza di tempo, l’organizzazione del Crete Senesi Rock Festival offre copiosi spunti di riflessione, soddisfazione e (ma sì!) arrabbiatura. Dalla delusione per le defezioni del pubblico locale alla gratificazione di un livello artistico superiore a ogni attesa. Tra i due estremi, un ventaglio di caratteri, personaggi, nuove amicizie, promettenti collaborazioni, progetti per il futuro, ostilità, preconcetti, sgambetti, incoraggiamenti e spigolature. Tutto nel nome del r’n’r.

C’è quello che, mai visto prima, si presenta a due ore dall’inizio del concerto qualificandosi “dominus” del teatro e pretende(rebbe) pagamenti e adempimenti dei quali con i suoi delegati, peraltro rinnegati tra lo sconcerto generale, neppure si è discusso, permettendosi anche di alzare la voce. Ce n’è un altro che, ritenendosi “padrone” dei toponimi, senza aver capito nulla sulla natura, le finalità e lo spirito dell’iniziativa, mi diffida da usare i medesimi toponimi per “farmi pubblicità” (pubblicità? A chi, a me stesso?) altrimenti “mi fa telefonare dall’avvocato della Siae (la Siae?). Ce n’è un altro ancora che a priori ritiene si debba chiedergli il permesso (il permesso!) in quanto il nome “Crete Senesi” gli appartiene di default, come istituzione, dall’ambito della quale sarebbe pertanto vietato esondare. E, se non gli si dà retta (come non gli è stata data), si offende e mette il muso. Insomma, un manicomio.
E’ un proverbiale caleidoscopio, non di colori però, ma di caratteri (eufemismo) quello a cui ti esponi quando, senza esperienza nè malizia (e anzi convinto di fare il bene della comunità in cui vivi), ti metti in testa di organizzare un evento culturale “di nicchia” – qual è il Crete Senesi Rock Festival – in luoghi e contesti meno prevedibili del solito, senza ricorrere a macchinazioni, “spinte”, sponsor politici. E alla fine scopri che tra tanti doppi fini, diffidenza, pregiudizio, disinformazione e miopia, i più “normali” sono proprio i musicisti, anzi i “rocchettari” come qualche sprovveduto li ha definiti credendo di offerderli/ci: dei quali, oltre al talento e lo spessore umano, finisci per apprezzare anche l’imprevista pacatezza, la professionalità, la pazienza, la disponibilità, la gentilezza.
E alla fine è proprio questo che non ti fa passare la voglia di riprovarci e, anzi, ti spinge a pensare subito alla prossima edizione, senza troppo soffermarsi sulle fatiche, l’enorme impiego di tempo, la perdita secca di soldi, le enormi difficoltà logistiche e organizzative.
E poi ci sono i messaggi di congratulazioni e di incoraggiamento. Tanti. Da ogni parte d’Italia. Di gente che non è potuta venire e se ne rammarica, o che è venuta e che tornerà. Persone che scrivono da fuori provincia e fuori regione, spesso da molto luoghi lontani. Segno di come il filo invisibile della musica riesca a mettere in contatto le persone più impensabili ma, a volte, fallisca invece come naturale strumento aggregatore di chi non avrebbe bisogno di coprire tante distanze, perchè ha tutto in casa, a due passi. Misteri della fede.
Ora, nel grande limbo che intercorre tra il festival appena concluso e quello che (si spera) verrà, tutto pare fermo, immobile, cristallizzato. In equilibrio perfetto tra oggi e domani. Non si è ancora spenta l’eco e l’emozione della prima edizione, vanno vagliate le foto, messe a punto le registrazioni, confezionata la (monumentale) rassegna stampa, tirare le somme definitive. Economiche e non. Eppure la mente già corre, vagheggia, immagina, ipotizza, pianifica. E’ il bello di ciò che non mi piace definire dilettantismo, perchè sotto il profilo formale e dei contenuti artistici il Crete Senesi Rock Festival è stato altamente professionale, ma che preferisco chiamare spontaneità. O, se vogliamo, mancanza del fine di lucro (con buona pace di certe maligne insinuazioni).
Con un confortante corollario di nuovi amici che hanno riversato nell’evento lo stesso entusiasmo, dedizione interesse e passione di noi ideatori. Anche a loro va il mio ringraziamento, perchè dà al tutto il sapore dell’avventura appena cominciata.