Per accedere all’elenco dei praticanti e, quindi, all’esame da giornalista professionista esistono già varie e “praticabili” strade. Ciononostante, l’Ordine ha appena varato un’ulteriore scorciatoia, di cui non si capisce il senso nè l’utilità. Speriamo ce la spieghino.

 

Quando ho letto, non ho capito. Nemmeno rileggendo.

Quindi ci ho pensato mezza giornata, ho letto tutto nuovamente e ancora una volta non ho capito.

Non mi resta dunque che chiedere lumi alla fonte, ossia all’Odg, sperando che mi rispondano.

Mi riferisco a una comunicazione decisamente surreale uscita ieri sul notiziario dell’Ordine (per l’originale, qui): “Giornalismo, accesso al praticantato anche senza testata“.

In sintesi, il consiglio nazionale dell’OdG ha emesso nuove “linee interpretative” dell’art. 34 della legge professionale, la 69 del 1963, quello sul praticantato. Demandando oltretutto l’applicazione concreta delle linee medesime alla discrezione degli ordini regionali e creando così, quindi, anche i presupposti per un (mica tanto) potenziale trattamento diverso di casi uguali che potrebbe generare presto contenziosi a non finire.

In via eccezionale e su casi specifici – si legge nella nota – si consente l’avvio del praticantato anche in assenza di una testata e di un direttore responsabile“. I Consigli regionali dell’Ordine potranno cioè “procedere all’iscrizione al registro dei praticanti a seguito dell’accertamento del lavoro giornalistico svolto” dal candidato.

Quindi se io, dal nulla, trovo il modo di dimostrare di aver svolto attività professionale (ma come, e quale, senza testate di riferimento a sostegno, che garantiscano una certa continuità, e senza direttori che ne asseverino la natura?), posso diventare praticante ed ergo accedere all’esame di Stato.

C’è da restare sbalorditi.

Senza entrare, almeno per ora, in maliziose interpretazioni, tutto somiglia a una sorta di ulteriore scorciatoia, anzi un’autostrada a quattro corsie per l‘accesso diretto alla professione.

Tale da bypassare non solo la categoria dei pubblicisti (chi mai avrà interesse a diventarlo, potendo “tentare” direttamente il salto mortale nella categoria più alta?), ma il già fin troppo agile e ampiamente fallace sistema dei vari praticantati: quello normale (assunzione come praticante), quello d’ufficio, quello “freelance” e il malfamato “ricongiugimento“, sugli scogli del quale si sono già infrante le ambizioni di tanti colleghi.

Un piccolo passo ma una coraggiosa innovazione fatta in autoriforma”, afferma nella nota il presidente Carlo Bartoli per spiegare la singolare iniziativa. “Oggi sono in tanti a lavorare negli uffici stampa, sui social media e con le nuove tecnologie digitali, che svolgono attività giornalistica ma non possono essere riconosciuti, in quanto non hanno una testata di riferimento. Con questa nuova interpretazione andiamo incontro ad una realtà composta soprattutto da freelance e precari che ambiscono ad entrare a pieno titolo nel perimetro del giornalismo. Ovvio che auspichiamo di avere quanto prima riscontri positivi dal nuovo Parlamento per una riforma  organica della professione”.

In attesa di chiarimenti, continuo a non capire.

Come si fa a riconoscere come “giornalista” chi non lavora in o per una testata giornalistica? I tanti che lavorano “negli uffici stampa, sui social media e con le nuove tecnologie digitali” non è affatto detto che per questo, ipso facto, la svolgano. L’esperienza quotidiana dimostra casomai il contrario. I “freelance e precari” in possesso di una “documentazione attestante la continuità dell’attività giornalistica esercitata in maniera sistematica, prevalente e regolarmente retribuita” possono già ora accedere al praticantato nelle forme menzionate sopra. E, mi si consenta di dirlo, aver fatto i giornalisti nei “sei mesi  precedenti la domanda” non mi pare un tempo congruo per acquisire la capacità professionale richiesta da un “praticantato”, nemmeno se il candidato viene affiancato da un “tutor” professionista e segue un  “percorso obbligatorio di formazione professionale

E’ vero che la norma interpretativa parla di “via eccezionale e su casi specifici, ma a questi, quindi pochissimi, non era più lineare ed equo applicare le forme di praticantato già esistenti, invece di inventarsene un’altra così fumosa ed evanescente?

Chi sa o ha capito, spieghi l’arcano.