L’Ordine diffonde le linee-guida per i colleghi che volessero, avendone i requisiti, passare da professionisti di fatto a professionisti di diritto. “Non è una sanatoria nè un condono”, si dice. Sarà. Ma le incongruenze restano. Chi me le scioglie?

 

Non ho mai fatto mistero (vedi anche qui e qui) di ritenere il provvedimento sul cosiddetto “ricongiungimento dei pubblicisti” – cioè il passaggio nell’elenco dei professionisti, tramite esame di stato, dei pubblicisti che siano “professionisti di fatto” – una iniziativa inutile, demagogica e dannosa per l’intera categoria. Non ho ovviamente nulla contro i colleghi che si trovano in quella situazione, anzi (avendo a lungo fatto parte di quella schiera), solidarizzo con loro e resto convinto del loro buon diritto, se lo ritengono opportuno (il che non significa sia una necessità), a “passare” da un profilo a un altro.
E ‘ il provvedimento ad hoc che trovo inutile, sia perchè non risolve un solo problema reale che sia uno, nè per i primi, nè per i secondi, sia perchè gli strumenti per traghettare i “professionisti di fatto” nell’elenco giusto esistono già.
Demagogico perchè fa leva sulla creazione di aspettative e sull’alimentazione di illusioni circa benefici e opportunità di lavoro che nella realtà non ci sono nè ci saranno.
Dannoso perchè trasformerà in “professionistificio” (a termine, sì, ma tre anni sono un tempo lunghissimo) quel “pubblicistificio” che è il carburante della più autolesionistica sventura patita dalla professione giornalistica: il giornalistificio.
Ad ogni modo, tra inspiegabili fanfare bipartisan, il provvedimento è stato a suo tempo licenziato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine.
Il quale adesso diffonde le “linee guida” per accedere al beneficio.
Le trovate qui (la delibera è invece qui) e non sto a copiaincollarle.
La lettura tuttavia, più che dare risposte, suscita domande e alimenta ancora di più i dubbi.
A cui mi farebbe piacere se chi ne ha titolo, e non i soliti grilli parlanti cointeressati e con il paraocchi, mi desse risposte convincenti.
L’iniziativa innanzitutto si basa (vedi preambolo) sul presupposto dell’esistenza di “un rapporto di sistematica collaborazione retribuita con editori e organi di informazione in generale”. Ovvero (vedi punto 2) dell’esercizio sistematico, esclusivo e retribuito dell’attività giornalistica da parte di “pubblicisti anomali che hanno tratto il proprio sostentamento dallo svolgimento della professione giornalistica a tempo pieno“. Sostentamento? La parola ha un senso esplicito, cioè “campare di”, “mantenersi con“. Teniamola a mente, tornerà molto utile anche più sotto.
Comunque solo due figure corrispondono, nella realtà, alla situazione teorizzata dall’OdG: gli abusivi (pubblicisti in redazione, false partite iva, falsi collaboratori, etc), per i quali (oltre agli strumenti giuslavoristici), essendo essi dipendenti di fatto, esiste già la possibilità di “passare” professionisti con il praticantato d’ufficio concesso dall’Ordine proprio nei casi di questo tipo, e i freelance, per i quali anni fa è stato appositamente introdotto l’istituto del “praticantato freelance“. Quindi da questo profilo davvero non si capisce a quali altre figure oggi attive nel mondo dell’informazione professionale il ricongiungimento sia, al di là delle fumose ipotesi, concretamente rivolto.
Se poi si passa al punto 3), relativo alla documentazione da produrre per essere ammessi al beneficio, le cose si fanno ancora più oscure. La domanda dev’essere infatti “necessariamente corredata dalla documentazione attestante il rapporto contrattuale per il periodo di riferimento”, riguardando gli aspetti retributivi “compresi gli adempimenti fiscali” e contributivi “in relazione alle varie tipologia contrattuali“.
Contrattuali? Eppure anche qui i casi sono solo due: o c’è un contratto scritto (e sarà sulla base di esso che si individua la natura e il tipo del rapporto di lavoro in essere) oppure ce n’è uno verbale. Ma in questo secondo caso chiedere di produrre “prove” materiali della sua esistenza, che già non bastassero a sostenere per via giudiziaria una domanda di assunzione (e perciò il praticantato), mi pare una probatio diabolica, cioè impossibile. Nello stesso paragrafo si prevede inoltre che la relazione accompagnatoria dell’attività svolta possa comprendere “materiali di lavoro di ufficio stampa“. Ma come: da un lato non si considera l’attività di ufficio stampa “buona” per diventare pubblicisti e dall’altro la si rende acquisibile per dimostrare l’esercizio dell’attività in modo professionale? Boh.
Le cose non migliorano al punto 4) delle linee programmatiche, quelle sul “compenso“.
Non è stato fissato un reddito annuo minimo poichè si ritiene che la dimostrazione di svolgere attività giornalistica esclusiva e contrattualizzata possa rappresentare una garanzia sufficiente. Grande importanza andrà invece riposta nell’esame della relazione dell’attività svolta“.
Come? Prima chiedo di “dimostrare” una contrattualizzazione ma poi ti concedo di autoasseverarla perchè “mi fido“? Ma come ti “fidi”? Si è mai visto un ordine professionale che “si fida”? Basandosi sulla “relazione” scritta da un candidato?
E che fine ha fatto il requisito del “sostentamento” evocato prima? Se il candidato “relaziona” di vivere con un panino al giorno dormendo sotto i ponti, e quindi con un reddito da attività professionale pari quasi a zero, gli si crede e gli si dà la patente di “impratichito“? A me pare che la ratio di tutto ciò sia un’altra: creare un bello scivolo indiscriminato per consentire a tutti o quasi di diventare professionisti (se poi non ci campano, tanto peggio per loro). A chi tutto questo giovi, visto che il 50% dei prof è già a spasso, è un altro mistero.
Ma la perla, o meglio il fulmen, arriva in fondo. Al punto 5) sulle “attribuzioni dei Consigli Regionali” dell’Odg. Con una prescrizione sconcertante, se si pensa alle conseguenze che essa può avere. In pratica, si lascia agli Ordini regionali l’autonomia di applicare i criteri di verifica per l’ammissione al ricongiungimento su una base discrezionale, valutando cioè in rapporto a “contesti giornalistici veri” (veri? Ma che criterio è “veri”? Perchè, esistono contesti “falsi” a cui un Ordine professionale può fare riferimento?) dai quali il candidato abbia tratto un redditosia pur magro” (magro? Ma che criterio è “magro” in relazione a un reddito, che è un valore quantificabile?).
Stupefacente la chiusa: “Si precisa che gli Ordini…non devono attendere ulteriori linee guida in materia…non essendosi registrate (tra gli Ordini medesimi, ndr)…ulteriori convergenze rispetto a quanto indicato nella presente circolare”.
Sintesi e traduzione: anche per il ricongiungimento, nell’impossibilità di trovare la quadratura necessaria a garantire l’omogenea applicazione di un provvedimento pur così strategico su tutto il nazionale, con la scusa delle “diverse realtà” si è fatta la scelta della “geometria variabile“. Grazie alla quale avremo casi uguali trattati in modo diverso secondo la larghezza della “manica” dei diversi ordini, la loro idea di “vero“, la loro nozione di “reddito pur magro”, la loro severità nel giudicare l’affidabilità delle relazioni autoasseveratorie prodotte dai candidati e la loro volontà di “dribblare” l’evidenza di rapporti contrattuali già dimostrabili per via giudiziaria.
Il tutto per consentire un inutile travaso di colleghi da un elenco a un altro, con il risultato di accrescere la confusione, le false aspettative, la scarsa credibilità della categoria e senza, come detto sopra, risolvere uno solo dei problemi che ci stanno trascinando tutti a fondo.
Attendo fiducioso chiarimenti, purchè seri.