Che il ministro Fornero ci sia o ci faccia, è irrilevante: il progetto di elevare dal 27 al 33% il prelievo previdenziale a carico dei titolari di partita iva della “gestione separata Inps” è folle. E rivela un pregiudizio tanto cieco quanto pericoloso. Che riguarda pure noi giornalisti.
E’ vero che ai ministri che amministrano cose che non conoscono, e quindi ne parlano a vanvera, gli italiani sono abituati. Ma quando le crisi vere mordono la gente, come adesso, e per le strade spira un vento trasversale e inusuale di rivolta sociale, da un lato l’irritazione dei cittadini e dall’altra la gravità del vaniloquio ministeriale crescono in parallelo, con effetti (purtroppo non solo potenzialmente) esplosivi.
Quanto affermato oggi, durante il dibattito con i lettori di corriere.it, dalla titolare del Lavoro Elsa Fornero a proposito della previsione di un aumento di circa sei punti percentuali (dal 27 al 33%) dell’aliquota contributiva a carico (per ora) di certe categorie di partite iva è infatti roba da far rizzare i capelli. Anche se “nulla di quanto versato verrà perso, è un contributo per i giovani professionisti che altrimenti rischierebbero di vivere in condizione di indigenza in futuro”, come si è affrettata a precisare la professoressa.
E’ roba da far rizzare i capelli perchè rivela l’esistenza di un’idea di fondo infrangibile, un postulato, un trend destinato, come tale, ad abbracciare prima o poi anche quelli che, per ora, possono fortunatamente sentirsi fuori dalle grinfie delle pensate dicasteriali.
Ecco, io vorrei invitare la gentile signora a ridiscendere sulla terra.
E ad afferrare un paio di concetti molto semplici, che appaiono evidenti a tutti quelli che svolgono, oggi, un’attività libero professionale. Attività che, si rassegni, da tempo non ha più nulla di lucroso e, anzi, paga tuttora gli effetti progressivi e perversi di una sorta di pregiudizio classista al contrario, di cui lei stessa è a quanto pare vittima, secondo il quale il professionista è un “ricco”, e quindi torchiabile, per default.
I concetti sono i seguenti.
Uno: è perfettamente inutile, oggi, preoccuparsi del futuro pensionistico dei giovani professionisti, se per effetto della sua rapina camuffata da prelievo solo una minima parte di loro arriverà professionalmente viva all’età pensionabile. Insomma, è perverso uccidere i bambini in culla con la scusa di voler garantire ai superstiti una pensione maggiore. Ciò è talmente lampante da far sorgere il ragionevole sospetto che i fini della sua manovra siano altri e che l’argomento da lei evocato sia una pietosa foglia di fico per nascondere ciò che oggi le ha contestato anche Anna Soru, presidente dell’Associazione Consulenti Terziario Avanzato: “Questo aumento serve solo a finanziare la riforma, cioè ad assicurare le risorse per l’Aspi (la nuova forma di ammortizzatore sociale che ricomprende la vecchia cassa integrazione e l’indennità di mobilità), che noi non vedremo mai, perché tutela il dipendente e non il professionista”.
Due: al futuro hanno diritto tutti. Non solo i giovani, ma anche i non più giovani e quelli di mezza età. Come me, ad esempio. Quelli cioè che lavorano in proprio già da venti o trent’anni, ma hanno ancora dieci o quindici anni di carriera davanti. E sulle spalle dei quali gravano famiglie già costruite, vite già strutturate, mutui già erogati ma ancora da ammortizzare. Penalizzare ulteriormente la carriera già oggi scricchiolante di costoro e costringerli, come avverrà in misura per lei inimmaginabile, ma catastrofica, a chiudere per inedia quella maledetta partita iva che per me significa lavorare 12 ore al giorno, festivi compresi, senza ferie, senza pensione, senza un sindacato che difenda i miei interessi, è una mossa di una demagogia e di una stupidità incomparabili.
Scenda dunque dalla cattedra e vada a informarsi, ad esempio, dalle migliaia di avvocati quarantenni che vivono coi genitori perché non possono comprarsi casa e neppure l’auto, vada a chiederlo agli agronomi che si contendono come clienti i proprietari di orti per raggranellare qualche soldo, vada a chiederlo agli architetti costretti a rubare il lavoro ai geometri.
E lo chieda magari anche a noi giornalisti freelance, perché no, che fino a dieci anni fa si viveva dignitosamente del nostro ingegno, della nostra intraprendenza e della nostra capacità professionale mentre oggi si vede il nostro lavoro morire pian piano, sepolto sotto una montagna di “prelievi”, di sprechi, di un fisco ossessivo e di giovani colleghi o presunti tali che, pur di inseguire il “sogno” tanto evocato, lavorano gratis, in pratica per hobby, rovinando noi e se stessi.
Se esistono, come esistono, le false partite iva, i lavoratori al nero, la crisi dell’occupazione e un sistema fiscale tragicomico la colpa non è di chi la partita iva ce l’ha solo perché il libero professionista lo fa davvero.
Cerchi di ricordarselo, tra un piantino e l’altro.
E se ne trova il tempo, si dia un’occhiata alla puntata numero due di questo post, che uscirà nei prossimi giorni e farà il punto sullo stato dell’arte dei giornalisti freelance.
Non confido che cambi idea, ma forse una scintilla potrebbe accendersi.