Il Consiglio nazionale dell’OdG vara i parametri per la quantificazione giudiziaria dell’equo compenso. Ok del Ministero, tempistica e criteri a parte, preoccupa l’applicazione (soprattutto quella indiretta).

 

Il 18 gennaio 2013 – praticamente 11 anni fa – entrava in vigore la legge sull’equo compenso dei giornalisti autonomi, sulla quale non mi dilungo perchè ampiamente trattata (ad esempio qui e qui) su Alta Fedeltà. Mi limito a dire che la norma, uscita all’epoca già in ritardo rispetto alle concrete esigenze di sopravvivenza di una categoria agonizzante, dopo più di un decennio di stucchevole pingpong politico e sindacal-correntizio è tuttora lettera morta. Come nel frattempo è professionalmente defunta la categoria. Amen.

La triste sepoltura, però, viene oggi violata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti il quale, si legge in un comunicato diffuso giorni fa, “ha varato la proposta per la definizione dei parametri giudiziali finalizzati alla determinazione dell’equo compenso. Si tratta di parametri di riferimento necessari per la quantificazione del pagamento del lavoro giornalistico in sede di contenzioso giudiziario. I paramenti definiti dal Cnog, approvati nella seduta del 12 dicembre, per divenire operativi devono essere approvati dal Ministero della Giustizia che vigila sull’attività dell’Ordine“.

Viste le premesse, non perdo tempo a indagare sulle prospettive dell’iniziativa e i suoi possibili sviluppi, nè a chiedermi quali ragioni di opportunità abbiano indotto il Cnog a rioccuparsi della faccenda proprio adesso.

Mi interessa invece approfondire il contenuto, ossia i parametri (qui il quadro completo), e capire quali siano i margini e le criticità di una loro eventuale applicazione.

Va precisato innanzitutto che essi non costituiscono formalmente il ripristino del tariffario d’antica memoria (salvo errori, abolito da Bersani nel 2007), ma rappresentano, sebbene alla fine con funzioni analoghe, valori di riferimento in solo caso di contenzioso giudiziario. Insomma, informalmente il giornalista può tenerne conto, ma non invocarli in fase di trattativa con l’editore: potrà farlo invece tramite il suo avvocato quando, non avendo ricevuto il pagamento pattuito, debba rivolgersi al giudice.

Le tabelle proposte dal Cnog individuano tre tipologie di compenso:

Tabella A, attività giornalistica presso quotidiani, periodici, agenzie stampa, anche online, emittenza radiotelevisiva, uffici stampa; il tutto in ambito nazionale: iscritto con meno di 30 mesi: valore giornaliero 130 euro, valore lordo minimo (mezza giornata) 65 euro; iscritto con più di 30 mesi: valore giornaliero 170 euro, valore  lordo minimo 84 euro.

Tabella B, attività giornalistica in tele-radiodiffusione  nonché imprese fornitrici di contenuti informativi, anche in tecnologia digitale e/o satellitare, il tutto solo in ambito locale: iscritto radiogiornalista con meno di 24 mesi: valore giornaliero 86 euro al giorno, valore lordo minimo 44 euro (metà giornata); iscritto tele-radiogiornalista  radio con più di 24 mesi: 94,5 al giorno; valore lordo minimo 47,25 (metà giornata); tele-giornalista Tv con più di 24 mesi:  119,7  euro al giorno; valore lordo minimo 62 euro.

Tabella C:  attività giornalistica presso testate periodiche di informazione a diffusione locale, anche online e attività giornalistica  in testata di informazione  esclusivamente online operanti in ambito locale, entrambe escluse quelle inserite in network nazionali e non collegate su più aree geografiche. Periodici: valore lordo minimo della prestazione 52,50 euro; periodici mensili: valore lordo minimo della prestazione 262,50.

Gli importi delle tabelle possono essere maggiorati del 10%  o del 15%  in caso di opere di particolare impegno.

In generale, mi pare azzeccato il criterio di agganciare i compensi al tempo impiegato per la prestazione,  scandito in mezza giornata e in giornata intera, e non al singolo articolo, anche se poi la casistica potrebbe dar  vita a qualche cortocircuito (se sono veloce e scrivo tre pezzi in un pomeriggio c’è il rischio che l’editore me ne possa pagare uno solo, perchè il dovuto non è unitario, ma temporale?).

Bene anche la scelta di indicare sempre il valore minimo, nella speranza che il concetto venga ben compreso sia dall’Odg in fase di “bollatura” delle fatture che dai magistrati in fase di applicazione: si tratta di momenti che in passato (parlo per plurima esperienza diretta) si rivelavano estremamente critici e di solito si risolvevano a danno dei giornalisti, sia per la tendenza dei magistrati a confondere il minimo con una tariffa pressochè fissa, sia, fatto molto più grave e paradossale, per gli abbagli dell’Odg il quale, disinformato sulla complessa dinamica dei compensi libero-professionali, tendeva ad appiattire la congruità del richiesto sulle miserrime quotazioni fissate da un tariffario tarato sui quotidiani. Il risultato era che, a fronte di una mia richiesta al giudice di riscuotere la somma pattuita con l’editore di 1.000, l’Ordine dichiarava che la mia pretesa era incongrua in quanto, secondo lui, il valore del mio lavoro era 100.

Quanto all’entità dei parametri, mi pare che la scelta del Cnog sia stata un po’ pilatesca: cifre certamente (e giustamente) al di sopra delle somme simboliche riconosciute oggi ai giornalisti (non entro però nella spinosa questione degli accordi individuali pregressi, che aprirebbero una voragine), ma anche piuttosto al di sotto di una congruità oggettiva. Comunque, se il criterio si consolida, si tratta di un passo avanti rispetto al seminulla che imperversa da anni.

Sul punto si apre però un interrogativo stuzzicante che, ne sono certo, anche in Odg si sono posti: i minimi lordi suggeriti alla magistratura per la determinazione dell’equo compenso in caso di contenzioso giudiziario tra giornalista ed editore saranno utilizzati, come parrebbe logico, anche in sede di valutazione della congruità dei compensi ricevuti dall’aspirante giornalista in sede di richiesta di iscrizione all’elenco pubblicisti?

Perchè, se così (auspicabilmente) sarà, pur con un quindicennio di ritardo si sarebbe finalmente arrivati all’istituzione di quella sorta di tariffario di fatto che il sottoscritto ha inutilmente invocato in passato sia come sbarramento contro i finti giornalisti che, soprattutto, come leva di pressione economica verso gli editori nei confronti degli editori.